De Pascale: «Spendiamo 12 milioni in più per pazienti di altre regioni»
Il presidente della Regione Emilia-Romagna contro la mobilità sanitaria: «Firmeremo dei protocolli con le singole regioni del sud per cercare di co-governare questi flussi»
Bologna «Noi spendiamo circa 12 milioni di euro in più rispetto a quelli che ci vengono trasferiti, che non è una cifra insostenibile, però non è un guadagno. Ma il problema più grande non è tanto solo sui soldi, ma è anche sulla capacità di organizzare servizi per così tante persone in un territorio per la carenza di medici, per la carenza di infermieri, per la carenza di Oss». Così il presidente della Regione, Michele de Pascale, torna a parlare della mobilità sanitaria verso la nostra regione, dopo aver invocato uno stop ai pazienti da fuori regione che ha suscitato un acceso dibattito politico e sociale. De Pascale torna sull’argomento nel salotto tv di Raitre “Restart” insieme all’assessore lombardo Guido Bertolaso, altra regione ai vertici per l’arrivo di pazienti non residenti.
Secondo de Pascale, per i pazienti che vengono da fuori regione «non possiamo mettere un filtro» ma, come sta avvenendo con la Calabria, «firmeremo dei protocolli con le singole regioni del sud per cercare di co-governare questi flussi di mobilità e intervenire dove sono impropri». Perché – ritiene il presidente della Regione Emilia Romagna – il problema della migrazione sanitaria dalle regioni del sud «per loro è un problema ancora più grave che per noi»: nel meridione, ricorda, questo fenomeno «loro lo pagano due volte», dovendo garantire da un lato i servizi e dall’altro pagando per le prestazioni fatte al nord dai loro cittadini. Secondo i dati dell’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali (Agenas), l’Emilia-Romagna è tra le regioni con il più alto saldo positivo nella mobilità sanitaria interregionale. Nel 2023, ha erogato prestazioni sanitarie a pazienti provenienti da altre regioni per un valore di oltre 806 milioni , a fronte di 282 milioni spesi per emiliano-romagnoli curati altrove. Il saldo netto è stato di 525,4 milioni, il più alto in Italia. Questo significa che decine di migliaia di cittadini italiani scelgono ogni anno di farsi curare in Emilia-Romagna, attratti dalla qualità delle strutture, dalla competenza dei professionisti e dall’efficienza del sistema. Ma questa eccellenza ha un costo, diventato superiore alle entrate.
E il tema, afferma de Pascale, non riguarda solo il capitolo rimborsi. Dell’argomento ha parlato anche l’assessore lombardo Bertolaso, che sulle singole intese con le regioni di provenienza dei pazienti, manifesta scetticismo: «Stiamo anche noi cercando di fare accordi con le altre regioni, soprattutto del centro-sud. Ma questo genere di accordi lasciano il tempo che trovano, se poi non vengono coinvolti direttamente i cittadini». In Lombardia la migrazione per ora non crea eccessivo allarme, ma «se andate a vedere i Pronto Soccorso di alcune realtà ospedaliere di Milano vedete le persone che arrivano con la valigia». I pazienti, racconta Bertolaso, «partono da altre parti d’Italia con la valigia, prendono il treno, arrivano alla stazione centrale e dopo si presentano al pronto soccorso dei vari ospedali denunciando ovviamente una patologia, un problema di salute, una qualsiasi situazione. Fanno i loro esami, i loro controlli, le loro visite e anche se non sono da codice rosso, se c’è bisogno di approfondimenti clinici vengono ricoverati e quindi entrano automaticamente nella assistenza clinica». Ciononostante, in Lombarda su 39 milioni di visite, esami in ambulatorio e interventi chirurgici sono “solo” un milione e mezzo quelli dedicati a persone che arrivano da altre parti del paese. «Numeri gestibili», conclude Bertolaso. L’assessore lombardo si mostra d’accordo con de Pascale sul fatto che sono le prestazioni di minore complessità quelle su cui intervenire. «Un trapianto di cuore, un trapianto di fegato, un intervento salvavita, una cura oncologica di eccellenza – aveva detto il governatore dell’Emilia-Romagna – deve essere concentrata per sua natura e i nostri servizi di eccellenza sono servizi del Paese, non sono servizi dell’Emilia-Romagna. Ma stiamo assistendo a numeri molto forti e in crescita anche nelle prestazioni di bassa complessità e questo non è più sostenibile e lo dico perché non è infinito il numero di infermieri, di medici, di Oss che possono vivere a Bologna, Modena, Parma». l © RIPRODUZIONE RISERVATA
