Cult, il collettivo contro l’isolamento sociale: «A Reggio Emilia pochi spazi, noi valorizziamo il fermento giovanile»
Formato da una decina di ragazzi tra i 24 e i 33 anni, la sua missione è «creare ponti tra le persone» utilizzando diversi linguaggi artistici
Reggio Emilia Cult è un collettivo culturale di Reggio Emilia nato per contrastare la “stasi creativa” e l’isolamento giovanile. Formato da una decina di ragazzi tra i 24 e i 33 anni, la sua missione è «creare ponti tra le persone» utilizzando diversi linguaggi artistici. “Cult” (@cuullt su Instagram) organizza eventi che sono piattaforme di espressione per i talenti emergenti locali e, al contempo, momenti dedicati a progetti di rilevanza sociale, affermando l’arte come motore del dialogo civico.
Qual è l’urgenza specifica che sentivate nel contesto di Reggio Emilia e vi ha spinto a formare proprio “Cult”? E come percepite l’attuale necessità di interscambio in città?
«Cult è nato da un’osservazione diretta sulla nostra città: abbiamo percepito un’urgenza proveniente proprio da Reggio Emilia, dove c’è un fermento giovanile vibrante e una grande voglia di fare, ma spesso manca lo spazio o il modo concreto per incanalare questa energia. Questa “stasi creativa”, se non intercettata, rischia di diventare controproducente per i giovani. La nostra missione è stata quindi chiara fin dall’inizio: intercettare queste immense potenzialità e offrire loro un palco e una vetrina per esprimersi appieno».
Qual è il significato o l’intenzione che si nasconde dietro la scelta del nome “Cult” e come si collega alla vostra missione di “creare un ponte tra le storie e i vissuti”?
«Il nome Cult è nato in modo quasi spontaneo dopo un lungo brainstorming. L’idea alla base è profondamente legata al concetto di durata e impatto nel tempo. Volevamo creare una realtà artistica che non fosse effimera, ma che restasse sia nella mente delle persone che nei luoghi della città, proprio come accade con un film o un’opera d'arte che diventano, appunto, “cult”. In sostanza, siamo qui per rimanere e lasciare un segno duraturo nel panorama culturale reggiano».
Al di là del semplice live, in che modo il vostro gruppo cerca di offrire un supporto per la crescita e la visibilità dei talenti di Reggio e provincia?
«L'impegno di “Cult” va oltre l’arte fine a sé stessa, sposando il filone del sociale. Coinvolgiamo attivamente i nostri artisti in progetti collaborativi con una forte rilevanza sociale, il cui esito viene poi restituito alla cittadinanza. Questo approccio non solo arricchisce la comunità, ma ha anche un impatto formativo fondamentale: lavorando su temi complessi come l’immigrazione o la storia della Guerra dei Balcani, apriamo in modo concreto gli orizzonti e la sensibilità dei giovani artisti che sosteniamo».
Voi utilizzate la parola, la musica e le immagini. Quali criteri utilizzate per selezionare gli artisti emergenti che salgono sui vostri palchi?
«Il nostro criterio principale è l’autenticità e il coraggio espressivo. Cerchiamo storie vere. Abbiamo scelto il rap come linguaggio cardine perché nasce “dal basso” ed è capace di amplificare storie altrimenti inascoltate. Incoraggiamo gli artisti a usare la parola per esprimere le proprie emozioni e traumi, trasformando il vissuto individuale in una “musica collettiva” che trova spazio sul palco».
Come create attivamente uno spazio in cui i partecipanti si sentano sicuri e incoraggiati a condividere le proprie esperienze personali, superando le barriere sociali o generazionali?
«La sicurezza nasce dalla diversità del nostro collettivo, composto da persone di età e background differenti. Per l’ascolto, usiamo l’arte come strumento educativo. Ad esempio, l'incontro con il progetto “Indomiti”, che ha condiviso poesie sulla fragilità e la resistenza, insegna che la vera forza non è l’orgoglio, ma l’onestà sui propri limiti. Incoraggiamo le persone a non chiudersi e a trovare la forza di credere in sé stessi».
C'è stato un riscontro particolarmente toccante o inaspettato ricevuto da un partecipante che vi ha fatto capire chiaramente di essere riusciti a centrare il vostro obiettivo di “connettere le persone”?
«Il vero successo non è l'applauso, ma la trasformazione personale. Ogni volta che un giovane trova la forza di salire sopra un palco ed esprimere “ogni sua colpa” o la sua profonda emozione, è lì che centriamo l'obiettivo».
Qual è la sfida organizzativa o logistica maggiore che avete incontrato finora nel tentativo di coinvolgere attivamente la comunità?
«La sfida più grande è superare la paura che ferma i grandi sbalzi. Dobbiamo continuamente sfatare i pregiudizi, come quello secondo cui i rapper parlano solo di violenza o di soldi. Il nostro compito è dimostrare che l’arte è uno strumento di dialogo potentissimo. Dal punto di vista organizzativo, la difficoltà non è trovare il luogo, ma abbattere il muro del giudizio e dell’indifferenza per far fiorire il desiderio di trasformazione».
Per concludere, quale messaggio o invito vorreste rivolgere ai lettori della Gazzetta di Reggio, sia agli artisti emergenti che ai semplici cittadini desiderosi di ascoltare, affinché si uniscano al “terreno di interscambio” che state coltivando?
«Ci vuole coraggio per fare due passi avanti, ma il nostro movimento è collettivo. Non chiudetevi nei rimpianti. Vi chiediamo di non fermarvi al rumore, ma di ascoltare la musica che c'è sotto e di unirvi a noi in questa esperienza. Il vostro coraggio ha un posto sul nostro palco. Credete in voi stessi e venite a riscoprirvi in un incontro, perché il vostro giudizio non ci cambia, ma il vostro sostegno sì».
*Studente dell’istituto Mandela di Castelnovo Monti ©
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