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Dall’inserto Scuola 2030

Dai negozi di Milano alla bottega in centro storico: «Sono il “medico delle scarpe”: le faccio rivivere»

Sabrina Cirillo*
Dai negozi di Milano alla bottega in centro storico: «Sono il “medico delle scarpe”: le faccio rivivere»

La storia di Antonia Micheletti: calzolaia che ha trasformato la sua passione in un mestiere, sfidando le convenzioni

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Reggio Emilia Nel piccolo laboratorio al civico 4 di via della Croce Bianca, Antonia Micheletti ascolta quella voce che da sempre le parlava di scarpe. Calzolaia che ha trasformato la sua passione in un mestiere, sfidando le convenzioni, da oltre trent’anni modella sogni sotto forma di scarpe, che sono tutti pezzi unici.

Da dove nasce la sua passione per creare le scarpe?
«Non so esattamente da dove nasca questa passione, ma so che è sempre stata lì. Non trovavo mai delle scarpe che mi piacessero: qualcosa di carino che fosse anche comodo. A vent’anni quindi ho pensato di trasformare questa passione in qualcosa di concreto. Volevo creare scarpe che parlassero di me, che raccontassero storie. Così ho iniziato a disegnare modelli miei, a scegliere i materiali, a sperimentare. Grazie a delle persone speciali che ho incontrato viaggiando, ho iniziato questa avventura. La maggior parte delle mie conoscenze le devo a loro».
Qual è stato il suo primo lavoro?
«La mia prima opera è stata per una cara amica, che mi portò una foto di una scarpa realizzata da un artigiano milanese e mi disse: “Vorrei questa”. Non era una scarpa qualsiasi: era da passeggio, elegante ma pensata per la vita quotidiana, un modello sobrio. Le porta ancora oggi, dopo 35 anni. E questo mi dice che quella scarpa è stata ben pensata, ben fatta e ben vissuta. Per questo devo ringraziare i miei ottimi collaboratori dell’epoca».
Prima di cosa si occupava?
«Ho lavorato per negozi rinomati a Milano e ho realizzato piccole serie di scarpe per negozi molto importanti in alcune città. Era faticoso e allora avevo ancora una bimba piccola...non sapevo cosa fare. Dopo ho pensato di aprire un piccolo laboratorio». Cos’ha provato quando ci è riuscita?
«Non avevo il tempo di pensare alle mie emozioni nel senso che erano talmente tante le cose da creare, da mettere insieme al lavoro…era un momento molto stimolante, ecco. Mi sentivo creativa però senza sapere di esserlo davvero. Volevo realizzare i miei sogni, dovevo dimostrare che stavo facendo qualcosa per me stessa e potevo riuscirci pur occupandomi anche mia figlia. Non avevo nessuno ad aiutarmi: i miei genitori erano molto anziani e io dovevo e volevo conciliare la mia professione di artigiana con il mio ruolo di madre, al quale tenevo moltissimo».

Si sente orgogliosa del suo percorso fino a qui?

«Non potrei essere più felice di quello che ho costruito grazie a tutti i miei sforzi, infatti io non mi limito a creare le scarpe: io le riparo, le curo, le faccio “rivivere”. Faccio il “medico delle scarpe” e ne sono orgogliosa. Non mi sono mai sentita svilita davanti a una scarpa messa malissimo. Il mio impegno è sempre stato quello di farla resuscitare dal fuoco e riuscirci mi dà sempre un’infinità di soddisfazione. La metafora medica non è casuale: avrei voluto fare il medico o comunque lavorare in un campo sanitario, assistenziale. E in un certo senso lo faccio perché assisto le scarpe, le accompagno, le rialzo».

Come mai ora ha deciso di contrarsi solo sulle riparazioni?
«Il mio lavoro è anche fisico e le mie ginocchia ne hanno pagato il prezzo. Nonostante le difficoltà, non ho mai smesso di lavorare. Anzi, ho intensificato le riparazioni, trovando in esse una nuova forma di soddisfazione. Non so se sono più soddisfatta di me ora, ma ogni riparazione è un gesto d’amore».
*Studentessa del liceo Chierici
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