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L’analisi di Confcommercio

Reggio Emilia tra i 10 Comuni d’Italia con meno negozi: densità commerciale in caduta da 12 anni e le proiezioni non danno tregua

Reggio Emilia tra i 10 Comuni d’Italia con meno negozi: densità commerciale in caduta da 12 anni e le proiezioni non danno tregua

L’analisi di Confcommercio: persi oltre due punti. E senza rigenerazione urbana nel 2035 potrebbe sparire un negozio su cinque

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Reggio Emilia Il decimo comune d’Italia per la più bassa densità commerciale. Reggio Emilia occupa, infatti, la decima posizione con un calo di imprese attive ogni mille abitanti dall’8,1 al 6,1 in dodici anni, precisamente nel periodo che va dal 2012 al 2024. E la proiezione al 2035 non è più generosa: è previsto, infatti, un calo ulteriore al 4,5. Ancora, la variazione delle imprese, sempre al 2035, si attesta sul -23,2 a fronte di una variazione della popolazione di 2,4. Questo è quanto emerge da un’analisi dell’Ufficio Studi di Confcommercio in vista dell’iniziativa nazionale “inCittà – Spazi che cambiano, economie urbane che crescono”, dedicata al futuro delle città e delle economie urbane, organizzato dalla Confederazione che si terrà a Bologna, a Palazzo Re Enzo, il 20 e 21 novembre.

Lo scenario
Uno scenario palpabile a Reggio Emilia, dove le vetrine dei negozi sfitti sono numerose, in particolare in centro storico. E dove da tempo si cercano soluzioni per arginare questo fenomeno. L’indagine allarga lo sguardo allo scenario nazionale e fa emergere la necessità di adottare interventi di rigenerazione urbana, altrimenti entro il 2035 scomparirà un quinto dei negozi italiani. Nel 2024 si contano in Italia oltre 534mila imprese del commercio al dettaglio, di cui circa 434mila in sede fissa, quasi 71mila ambulanti e 30mila appartenenti ad altre forme di commercio, ad esempio on line o per corrispondenza. Il confronto con il 2012 evidenzia la scomparsa di quasi 118mila imprese del commercio al dettaglio in sede fissa e di circa 23mila attività ambulanti, per una riduzione totale di oltre 140mila unità, risultato di un eccesso di chiusure rispetto alle aperture.

Le cause
Le cause sono riconducibili a una crescita insufficiente dei consumi interni, al cambiamento dei comportamenti di spesa dei consumatori e alla diffusione delle tecnologie digitali che hanno favorito gli acquisti online. Non a caso, nello stesso periodo le imprese attive operanti prevalentemente su internet o nella vendita per corrispondenza sono aumentate di oltre 16mila unità (+114,9 per cento). Per quanto riguarda il commercio al dettaglio in sede fissa, le contrazioni più rilevanti si registrano nei seguenti comparti: distributori di carburante (-42,2 per cento), articoli culturali e ricreativi (-34,5 per cento), commercio non specializzato (34,2 per cento), mobili e ferramenta (-26,7 per cento), abbigliamento e calzature (25 per cento). Per valutare l’evoluzione futura del settore, sono state estrapolate le tendenze recenti osservate su un orizzonte temporale fino al 2035. È stato infatti simulato uno scenario in cui le dinamiche osservate nel periodo 2012-2024 proseguano senza l’adozione di nuove politiche di rigenerazione urbana. In tale ipotesi, la riduzione delle imprese del commercio al dettaglio (negozi e ambulanti) arriverebbe fino al 21,4 per cento, equivalente a circa 114mila unità in meno.  © RIPRODUZIONE RISERVATA