Il rapper reggiano Lubi: «Ogni testo è parte della mia storia»
E’ una delle voci più genuine delle sua generazione: «Reggio Emilia è una città che ti forma, ma può anche farti sentire chiuso»
Reggio Emilia Lubi è un artista reggiano, classe 2003, tra i più promettenti della nuova scena musicale: sono già quasi 280mila i suoi ascoltatori mensili su Spotify. Tra le voci più genuine della sua generazione, si distingue per la capacità di trasformare esperienze della sua città in racconti sonori che oscillano tra ambizione e indipendenza. La sua musica nasce dall’urgenza di esprimere ciò che vive ogni giorno, tra amicizie, notti lunghe e il desiderio di emergere in un panorama sempre più tossico. Con il progetto “Rosso Notte”, il rapper Lubi, all’anagrafe Luca Bigi, ha dimostrato una maturità sorprendente, intrecciando liriche introspettive a produzioni curate che riflettono le influenze rap, trap e alternative con cui è cresciuto nella nostra città. Il 2024 ha segnato un punto di svolta nel suo percorso, tra live nei club più importanti d’Italia e collaborazioni con alcuni dei nomi più in vista della nuova ondata urban. La sua forza sta nella sincerità. Lui non finge, non rincorre mode, ma racconta ciò che conosce: la provincia, i sogni, le cadute e le ripartenze, con un linguaggio diretto e riconoscibile, capace di arrivare a chi lo ascolta senza filtri. Determinato e diretto, non si è mai lasciato scoraggiare dal contesto che lo circondava. In un ambiente dove spesso mancano stimoli e prospettive, ha scelto di credere in sé stesso anche quando nessuno lo faceva. La sua scrittura nasce da esperienze reali, da un bisogno di raccontare ciò che vede e ciò che ha vissuto. Ogni canzone diventa una pagina della sua storia, un frammento della sua crescita personale. Abbiamo avuto occasione di conoscerlo meglio, non solo come artista, ma anche come persona.
Chi è Lubi, dietro il nome che sta iniziando a farsi notare nella scena urban italiana?
«Dietro Lubi c’è un ragazzo di Reggio Emilia che ha fatto della musica una scelta di vita. Ho iniziato da bambino, guardando i ragazzi più grandi della mia zona che rappavano. Mi affascinava quella libertà, quel modo diretto di dire le cose. Poi, a 13 anni, ho deciso di prendermi sul serio: ho iniziato a scrivere come se fosse già un lavoro. Da lì tutto è cambiato, ogni mia scelta è girata intorno alla musica».
Crescere a Reggio Emilia ti ha influenzato artisticamente?
«Tantissimo, nel bene e nel male. È una città che ti forma, ma può anche farti sentire chiuso. Lì tanti ragazzi si sentono bloccati, senza una direzione chiara. Mancano stimoli, e spesso anche la scuola non ti aiuta a capire quanto il mondo sia più grande di quello che vedi tutti i giorni. Io a un certo punto ho capito che dovevo muovermi, andare dove potevo respirare altro. Milano per me è stata quella boccata d’ossigeno: più grande, con più opportunità e più possibilità di costruire davvero qualcosa».
Ti descrivono come un artista autentico, che non rincorre le mode. È una scelta o una conseguenza?
«È naturale. Io non riesco a fingere, non saprei farlo. Quello che scrivo viene da quello che vivo, punto. Se provassi a fare musica solo per piacere agli altri, non mi riconoscerei. Preferisco arrivare a meno persone ma in modo vero, che fingere di essere qualcuno che non sono».
Cosa significa per te “spaccare”?
«Per me spaccare non vuol dire diventare famoso da un giorno all’altro. Significa trasformare la mia passione in qualcosa di concreto, restando fedele a me stesso. Vuol dire lavorare, migliorarsi, costruire qualcosa che resti. Non credo nei titoli o nelle scorciatoie: o ti impegni davvero o non vai da nessuna parte».
Nelle tue parole ritorna spesso il tema dell’ambizione. Ti spaventa il successo?
«No, so da dove vengo e so cosa significa non avere niente. Il successo per me è riuscire a farcela con la mia musica, vivere di quello che amo. I soldi contano, ma solo se li usi bene, per migliorarti. Non voglio diventare un personaggio, voglio restare una persona che lavora sodo e che fa le cose per bene».
Quanto ti ha aiutato la scrittura a trovare la tua strada?
«Mi ha salvato, letteralmente. Scrivere è stato il mio modo di reagire quando attorno vedevo solo gente che mollava. Ogni testo è una parte della mia storia. Quando butto giù una barra, sto buttando fuori tutto quello che ho dentro. È il mio modo di stare in equilibrio».
Il 2024 ti ha portato live, collaborazioni e tante esperienze nuove. Che anno è stato?
«È stato l’anno della svolta. Ho suonato nei club più importanti d’Italia, ho collaborato con artisti che stimavo e ho capito che il lavoro paga. È stato anche l’anno in cui ho smesso di dubitare di me. Non mi sento arrivato, ma ora so che sono sulla strada giusta».
E se ti chiedessi come ti vedi tra qualche anno?
«Ricco, ma non solo di soldi. Ricco di risultati. Voglio crescere ancora, continuare a spingere, fare il mio percorso senza cambiare per nessuno. Voglio che chi mi ascolta capisca che tutto questo è reale, che viene da un ragazzo normale che ci ha creduto».l *Studente del liceo Chierici
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