Nel laboratorio di Chiara Davoli: dove il tempo torna indietro e l’arte si salva
Reggio Emilia: nella bottega in centro storico la sua attività di restauro. «Il restauro è un lavoro di pazienza e un’emozione bellissima»
Reggio Emilia È un mondo fatto di pazienza, conoscenza e passione quello che ci racconta Chiara Davoli, artigiana con una lunga esperienza nel restauro di dipinti antichi e contemporanei la cui bottega è al civico 24/a di via Emilia San Pietro, in centro storico. Come è iniziato il suo percorso nel mondo del restauro?
«Mi sono avvicinata a questo mestiere grazie a mia madre, che era restauratrice dal 1975. Dopo il diploma di maturità artistica ho iniziato da subito a lavorare nel suo laboratorio, dove ho imparato le basi unendo teoria e pratica. Fin da subito ho capito che questa sarebbe stata la mia strada».
Cosa cambia tra restaurare un’opera antica e una contemporanea?
«La differenza principale è nei materiali. Le opere antiche sono realizzate con materiali naturali, conosciuti e privi di componenti sintetici e industriali. Quelle contemporanee, invece, sono un universo a parte: possono includere qualsiasi cosa, dai pigmenti artificiali alle plastiche, e ognuna va studiata come un unicum. Per questo è fondamentale conoscerne prima la struttura e la composizione. Anche i materiali che utilizziamo per il restauro devono essere compatibili: spesso sono sintetici, ma devono avere caratteristiche chimiche e fisiche precise per non alterare la materia originale».
Le è capitato un restauro particolarmente difficile o indimenticabile?
«Sì, più di uno. Nel contemporaneo ci si trova spesso davanti a problemi nuovi, senza riferimenti. Ricordo alcune opere di Arman, realizzate con materiali insoliti come scarpe in pelle e gomma che, col tempo, si disgregano: le suole esplodono letteralmente e conservarle è una vera sfida. Un altro caso riguarda opere iconiche da collezionismo, come le scarpe di Michael Jordan o maglie di sportivi famosissimi autografate: materiali delicatissimi, che pongono problemi di conservazione complessi. Tra i lavori più significativi ricordo l’intervento ai Musei Civici sulla collezione etnografica, dove ho lavorato al restauro di alcune mummie custodite nelle collezioni. In quell’occasione mi sono confrontata con i ricercatori del Museo Egizio di Torino per approfondire aspetti tecnici. Il nostro lavoro richiede collaborazione continua con storici dell’arte, chimici e diagnosti per comprendere e rispettare ogni manufatto».
Che qualità deve avere oggi un buon restauratore?
«Serve una formazione solida e multidisciplinare: conoscenze di storia dell’arte, chimica, tecniche artistiche e restauro. Oggi è obbligatoria una laurea magistrale, ma è altrettanto importante la pratica in laboratorio. Dopo il liceo artistico ho frequentato corsi finanziati dalla Comunità Europea con insegnanti come Scicolone, Cremonesi e Rossi. La mia vera scuola, però, è stata la bottega di mia madre. E ancora oggi continuo a formarmi: in questo mestiere non si smette mai di imparare».
Com’è cambiato il modo di lavorare negli anni?
«È cambiato moltissimo. Oggi usiamo materiali stabili nel tempo e reversibili, che non danneggiano l’opera. In passato non era così: molti restauri di trent’anni fa si stanno deteriorando. Penso a quelli eseguiti con colle animali e ad altri adesivi organici che, col passare del tempo e con la variazione di temperatura e umidità, costituiscono un vero e proprio nutrimento per muffe, batteri e insetti. Ora il restauro punta su materiali più stabili chimicamente e facili da rimuovere, per lasciare alle generazioni future la possibilità di intervenire di nuovo, se necessario».
Cosa prova quando restituisce vita a un’opera d’arte danneggiata dal tempo?
«È un’emozione bellissima. Vedere un’opera tornare leggibile, recuperare i colori originali e la luce dell’artista è una grande soddisfazione. Il restauro è un lavoro di pazienza: la pulitura, ad esempio, si esegue lentamente, per strati, controllando ogni reazione. Anche il ritocco pittorico è delicato ma estremamente gratificante, perché restituisce unità visiva all’opera senza coprire e alterare la pittura originale. In fondo, il nostro compito è proprio questo: aiutare l’arte a continuare a vivere, nel rispetto del tempo e della sua storia».
*Studentessa del liceo Chierici
© RIPRODUZIONE RISERVATA
