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L’intervista

«Non è il polo della moda l’occasione mancata di Reggio Emilia». Il professor Alessandrini spiega perché non basta costruire contenitori, come il nuovo casello

Massimo Sesena
«Non è il polo della moda l’occasione mancata di Reggio Emilia». Il professor Alessandrini spiega perché non basta costruire contenitori, come il nuovo casello

Il docente è ordinario di Economia politica di Unimore: «Non basta costruire contenitori: ciò che conta è il contenuto: anche la Mediopadana non ha creato sviluppo. Lo stesso vale per un nuovo casello»

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Reggio Emilia «Food Valley, Motor Valley... In Emilia Romagna è tutto uno slogan, ma poi restiamo piccoli, e attuare credibili politiche industriali sul territorio è quasi impossibile». Sergio Alessandrini è ordinario di Economia politica all’Università di Modena e Reggio, e senza addentrarsi nell’ultima polemica tra Confindustria Reggio Emilia e il Comune, coglie l’occasione per sottolineare come anche queste vicende rappresentino plasticamente il mondo in cui viviamo. Un mondo in cui le politiche industriali, quelle capaci di autentiche svolte nella società, stentano a vedere la luce.

«Perché tutto dev’essere pronto in fretta, mentre serie politiche industriali possono dare frutti solo sul medio-lungo periodo. Ma la politica di oggi questo sforzo non lo fa: lo si vede in questi giorni a livello nazionale nel dibattito attorno al futuro dell’Ilva di Taranto. Crisi strutturali si trasformano in emergenza e gli strumenti dell’emergenza non sono politiche industriali. Così, pur di non affrontare un problema grande come una casa – la perdita anche dell’industria siderurgica - si preferisce discutere dell’Università che non concede un corso agli allievi dell’Accademia». Intanto è ormai tangibile una trasformazione profonda:« le istituzioni globali mostrano fragilità crescenti, gli Stati tornano a usare gli strumenti industriali e tecnologici per difendere interessi nazionali, e la competizione tra potenze si gioca sempre più sulle infrastrutture produttive, sul controllo delle filiere e delle tecnologie emergenti». In questo quadro, il casus belli tra Max Mara e il Comune dice molto sulle dinamiche attuali tra chi fa impresa e chi fa politica. «Chi fa politica tende a governare e a gestire l’ordinario, magari anche promettendo. Chi fa impresa deve invece sforzarsi ad innovare per affrontare la competizione globale. Questo vale anche per un settore comunque maturo, com’è quello in cui opera Max Mara».

Con il distacco del docente, Alessandrini smonta anche la vulgata secondo cui basterebbe creare infrastrutture per generare sviluppo industriale. «Non basta costruire contenitori – ciò che conta è il contenuto». «Se pensiamo alla Mediopadana – dice il docente di Unimore – l’opera ha certamente modificato in meglio la viabilità tra Reggio e i gradi centri economici, ma non ha creato sviluppo per il territorio circostante. E questo vale per il progetto di un casello autostradale come quello che si vorrebbe veder sorgere a Correggio. A Valsamoggia dove la Philip Morris ha aperto il proprio stabilimento promettendo 600 posti di lavoro, il casello c’è, ma i lavoratori alla fine oscillano tra i 400 e i 500». La grande occasione mancata, secondo il professor Alessandrini, non è il polo della moda su cui Maramotti ha fatto dietrofront, ma ciò che ancora non è stato costruito. Prendiamo l’area delle Reggiane: «Se immaginata non come un contenitore vuoto ma come un ecosistema di ricerca, startup e produzione avanzata, potrebbe rappresentare una delle poche aree urbane d’Italia con un vero potenziale di politica industriale territoriale. Una strada giusta è quella intrapresa da Unimore con il progetto di ricerca Rossini (una piattaforma che valorizza la sinergia tra uomo e robot, ndr) che proprio Confindustria aveva scelto di premiare nel 2022. Ma da allora è calato il silenzio. Se togliamo l’Università nell’area delle Reggiane resta ben poco. E qui torniamo alla questione degli slogan vuoti. Senza una strategia i progetti restano incompiuti». E questo, secondo il docente di Unimore perché «il mondo corre. Le grandi economie stanno ridefinendo le regole della competizione industriale. La tecnologia cambia più in fretta di quanto le istituzioni italiane riescano ad adattarsi. Se non comprendiamo che lo sviluppo non nasce dagli slogan, né da un casello autostradale in più, ma dalla costruzione paziente di capacità produttive, scientifiche e tecnologiche, rischiamo di diventare spettatori delle trasformazioni globali. Le politiche industriali – conclude Alessandrini – richiedono tempo, coerenza e visione: tre cose che nessuna emergenza può sostituire».l © RIPRODUZIONE RISERVATA