Gira un reel con una bestemmia sulla maglietta, lui scrive “Fai schifo”: 60enne accusato di diffamazione
Reggio Emilia: la famosa content creator gli chiede un risarcimento da 2.500 euro, l’uomo si rivolge a un avvocato
Reggio Emilia «Fai schifo». Così un reggiano 60enne ha commentato, sui social, un reel di una procace giovane che gira per Firenze con scritta una bestemmia a Dio sulla t-shirt, filmando le reazioni dei passanti: c’è chi sorride, c’è chi si arrabbia. Il problema è che la bestemmia è stata depenalizzata, mentre la diffamazione via social resta un reato. Perciò il malcapitato si è visto recapitare, dall’autrice del reel, una richiesta di risarcimento danni per diffamazione pari a 2.500 euro.
«La mia assistita – recita la lettera dell’avvocato – è una content creator seguitissima dal pubblico social». Al reel («che ha riscosso 797 like»), postato il 18 ottobre scorso, «la mia assistita veniva denigrata senza motivo alcuno con uno sgradevole commento. Non si può parlare né di libera espressione del pensiero, né di critica»: sarebbe « diffamazione», «soprattutto in un’epoca come questa dove la lotta alle forme di odio è portata avanti in ogni campo». Secondo l’avvocato di lei «la prova è cristallizzata mediante screen shot», che contengono «la data, la permanenza del commento per più di 31 giorni, il contenuto diffamatorio» aggravato dai social, «una fattispecie di reato più grave rispetto alla stampa». La replica dell’avvocato che tutela il 60enne, Raffaella Pellini, non si è fatta attendere. «Contesto integralmente la fondatezza della pretesa risarcitoria». La giovane, «indossando una maglietta recante una grave bestemmia e tenendo una condotta sacrilega, passeggiava per le strade di Firenze, riportando compiaciuta le reazioni che la t-shirt suscitava. Tutto ciò in palese condotta provocatoria e con condotta offensiva rispetto ai comuni sentimenti religiosi cristiani e ai costumi della società civile». Secondo Pellini non c’è diffamazione perché «l’espressione, seppur critica, rientra nell’ambito di una valutazione soggettiva rispetto a un comportamento provocatorio. Non contiene attribuzione di fatti determinati, né elementi idonei a ledere l’altrui reputazione». La natura pubblica del profilo social, «volto a suscitare reazioni forti, anche tramite offese a simboli religiosi», non ha cagionato «un danno giuridicamente rilevante»; semmai è l’autrice del post a «offendere la comunità cristiana». l © RIPRODUZIONE RISERVATA
