La Cucina italiana patrimonio Unesco, lo chef Bottero di Arnaldo: «È il trionfo anche delle nostre rezdore»
Dalla Clinica Gastronomica di Rubiera la soddisfazione per il riconoscimento: «La cucina è cultura e arte tramandate di generazione in generazione»
Reggio Emilia È la rivincita della tradizione. L’iscrizione della cucina italiana nella lista rappresentativa del patrimonio culturale immateriale dell’Unesco premia anche i ristoranti che sono rimasti fedeli alle ricette casalinghe delle nostre antenate, insuperabili maestre nel trasformare in piatti gustosissimi i poveri ingredienti vegetali e animali, di terra e di acqua, reperibili nel territorio a chilometro zero. E anche l’enogastronomia emiliana, con le sue prelibatezze e le tante tipicità Dop e Igp, riceve giustamente la gratificazione che le spetta, alla pari con quella delle altre regioni della nostra penisola, dalle Alpi alla Sicilia. Ne è più che soddisfatto Roberto Bottero, chef del rinomato ristorante Arnaldo di Rubiera, che ci risponde mentre sta sfornando i savoiardi e un aiutante glieli assaggia: «È una cosa bellissima. Ne siamo orgogliosi. La cucina italiana, molto varia e ampia, merita un riconoscimento così importante. Non siamo stati consultati da chi ha raccolto la documentazione da presentare all’Unesco, ma siamo partecipi a pieno titolo della conservazione della cultura gastronomica nazionale».
L’artificiosa ricerca di amalgami inusitati e strani esotismi, dilagata negli ultimi anni, non è un valore per gli esperti nominati dalle Nazioni Unite, che tanto meno apprezzano i procedimenti industriali, la carne coltivata e gli altri prodigi vantati dalla biochimica. «La cucina – attesta Bottero – è cultura e arte tramandate di generazione in generazione, è un saper fare artigianale, una tradizione ereditata in Emilia dalle rezdore (le massaie “reggitrici” dell’economia domestica, ndr). Io ho imparato dai miei genitori e dalla signora Ivana, che ci aiutava nel ristorante di famiglia». L’attività culinaria si intensifica con l’approssimarsi delle feste natalizie consacrate con la tavola imbandita per i propri cari. Quindi è giocoforza rivolgersi ai professionisti custodi della tradizione. «Noi – afferma lo chef rubierese – vi siamo ancorati. Consideriamo le innovazioni qualcosa di marginale. Abbiamo clienti della terza o quarta generazione, che cercano ciò che trovano da sempre in termini di qualità. In questo periodo proponiamo i menù del Natale tipici della nostra terra. Abbiamo un numero incredibile di richieste e prenotazioni». È una cucina calda e saporita, che si apprezza particolarmente quando fuori l’aria incomincia a dare i brividi. Allora diventa irresistibile l’attrazione per i cappelletti in brodo, i tortelli, il carrello dei bolliti, i salumi, il gnocco fritto e le altre ghiottonerie che si possono gustare fra il Po e l'Appennino. Il supporto enologico è indispensabile. «Abbiamo – spiega ancora Bottero – una lista di 1.500 vini di tutta l'Italia e anche dell’estero, compreso lo Champagne. I più richiesti sono quelli dell'Emilia-Romagna, Lambrusco e Sangiovese». Ma è l'insieme della penisola ad essere riconosciuto dall’Unesco come una riserva di prelibatezze enogastronomiche: «L’Italia – sottolinea infine lo chef – ne possiede da sola più che il resto del mondo». © RIPRODUZIONE RISERVATA
