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Manifattura San Maurizio, l’azienda del gruppo Max Mara apre al confronto con le sarte in sciopero

Mattia Amaduzzi
Manifattura San Maurizio, l’azienda del gruppo Max Mara apre al confronto con le sarte in sciopero

Reggio Emilia: la denuncia al corteo dello sciopero generale: «Qui non si applica il contratto nazionale dell'industria tessile: noi sarte per la maggior parte lavoriamo a cottimo»

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Reggio Emilia Novità nella vertenza accesa nella Manifattura San Maurizio di Reggio Emilia, azienda del gruppo Max Mara. La direzione aziendale ha deciso di incontrare le lavoratrici che hanno scioperato sui problemi sollevati relativi alle condizioni di lavoro. A spiegarlo è Maria Arca Ascione, delegata sindacale della Filctem Cgil, dal palco di piazza Gioberti dove si è conclusa la manifestazione dello sciopero generale. «Questa apertura ci ridà un pizzico di speranza, nonostante siamo consapevoli di quanto la vertenza sia ancora lunga e non scontata – spiega Ascione – Le nostre intenzioni non sono quelle di distruggere, ma confrontarci alla pari e collaborare per costruire un clima aziendale sereno e stimolante». Riguardo alla vicenda del polo della moda che Max Mara avrebbe rinunciato a costruire alle fiere di Reggio a causa degli attacchi ricevuti dopo lo sciopero delle sarte della Manifattura, Ascione vuole ribadire «la nostra piena solidarietà al sindaco Massari, colpevole per alcuni di aver fatto addirittura saltare il polo della moda, solo per aver voluto ascoltare e incontrare un “pugno di donne”. Le reali motivazioni dietro questa scelta possiamo solo immaginarle. Ma in ogni caso vorremmo dire alla presidente di Confindustria, che ha avuto per noi parole irragionevoli e inaccettabili, che nessuna delle nostre rivendicazioni ha mai avuto a che fare con il polo della moda».

Ascione, ha continuato con un ritratto davvero impietoso del lavoro all’interno del colosso della moda: «In Manifattura di San Maurizio non si applica il contratto nazionale dell'industria tessile, ma un regolamento interno deciso in maniera unilaterale dall'azienda senza alcun confronto con noi. Questo significa che l'azienda decide le regole sugli orari, le pause, le modalità di utilizzo di ferie e permessi, ma anche sugli aspetti retributivi ed economici». «Noi sarte – prosegue – per la maggior parte lavoriamo a cottimo, e farlo senza poter definire con l’azienda come viene calcolato è un problema enorme, ancor di più che l'età avanza». Infatti «abbiamo pochi centesimi di secondo per svolgere alcune operazioni come si fa in una catena di montaggio e se non raggiungiamo un numero di capi al giorno deciso dall'azienda, chiamato “K100”, possiamo ricevere richiami disciplinari e riduzioni dello stipendio». Tutto questo «ci porta a lavorare con ritmi molto veloci. E il risultato è che, dopo anni e anni di lavoro a questi ritmi, la gran parte di noi operaie cottimiste perde alcune capacità fisiche, come muovere le braccia e le mani in un certo modo o stringere gli oggetti tra le dita. Alcune di queste malattie sono riconosciute come professionali mentre altre, in prima istanza, vengono rigettate dagli enti preposti e passano anni prima che vengano accettate, se avviene. Nel frattempo noi continuiamo ad ammalarci».  © RIPRODUZIONE RISERVATA