Matrimonio imposto dal padre con minacce e violenze: chiesta la nullità, un caso quasi senza precedenti in Italia
La storia della giovane di Novellara che ha denunciato il genitore: costretta a nozze via telefono, le era stato detto che se si fosse rifiutata avrebbe fatto la fine di Saman
Novellara Va in carcere il padre della giovane che per anni ha vissuto sotto minacce e violenze, in una vicenda che richiama da vicino il caso di Saman Abbas. Ma la novità più rilevante non è solo l’esecuzione della pena: sulla base della sentenza penale definitiva, è stata depositata al Tribunale civile di Reggio Emilia una richiesta di nullità del matrimonio forzato imposto alla ragazza. Un passaggio giuridico che, allo stato attuale ha pochissimi precedenti in Italia, anche perché il reato di induzione o costrizione al matrimonio è di introduzione recente.
Il padre, 54enne pakistano, è stato arrestato dai carabinieri della stazione di Novellara per l’esecuzione della condanna definitiva a due anni e quattro mesi di reclusione, ridotta di un sesto a un anno e 11 mesi per non aver presentato appello. Anche la matrigna della giovane è stata processata. La donna è stata condannata nello stesso procedimento, celebrato con rito abbreviato e conclusosi nel maggio scorso, a due anni di reclusione per maltrattamenti in famiglia. Nel suo caso, tuttavia, il giudice ha disposto la sospensione condizionale della pena. Secondo quanto accertato nel processo, tra il 2008 e il 2023, a Novellara, l’uomo ha sottoposto la figlia, oggi 22enne, a maltrattamenti continui, privandola della libertà di studiare, lavorare, uscire di casa e avere contatti con l’esterno. La giovane viveva con il padre, la matrigna e i fratelli nati dal secondo matrimonio.
Nel 2021 l’uomo l’ha costretta a contrarre matrimonio, a distanza, tramite videochiamata, con un cugino residente in Pakistan, mai conosciuto di persona. Secondo quanto riferito dalla ragazza, il giovane sarebbe figlio di uno zio che avrebbe ucciso la madre naturale quando lei era appena nata: una morte ufficialmente attribuita a cause naturali, ma inserita dalla vittima in un contesto familiare segnato dalla violenza. Alla ragazza sarebbe stato detto che, se si fosse opposta, avrebbe fatto «la stessa fine di Saman Abbas». Una frase che il padre, difeso dall’avvocato Mario Di Frenna, ha sempre negato di aver pronunciato.
Il 5 settembre 2023 la giovane si è rivolta ai servizi sociali, dopo aver appreso che il padre stava organizzando un viaggio in Pakistan per l’intera famiglia, finalizzato alla celebrazione del matrimonio religioso. Per timore della propria incolumità ha chiesto di essere allontanata dalla casa familiare, denunciando i maltrattamenti subiti. Da lì è scattata l’indagine dei carabinieri, che ha portato all’applicazione delle misure cautelari e, successivamente, alla condanna. Il matrimonio, celebrato all’estero ma trascritto anche nei registri dello stato civile italiano, è tuttora valido per l’ordinamento. Ed è proprio su questo punto che si apre ora una nuova fase. L’avvocata Monica Miserocchi, che assiste la giovane, ha depositato un ricorso al Tribunale civile chiedendo, in via principale, la dichiarazione di nullità del matrimonio. In via subordinata, qualora la nullità non venisse riconosciuta, la difesa chiede l’annullamento (esiste un precedente a Modena, nel 2022). La differenza è decisiva: la nullità comporta che il matrimonio sia considerato giuridicamente inesistente fin dall’origine, come se non fosse mai stato celebrato, cancellando ogni effetto prodotto nel tempo. L’annullamento, invece, produce effetti solo dal momento della decisione.
La richiesta si fonda sulla sentenza penale definitiva che ha accertato il reato di costrizione al matrimonio (articolo 558-bis del codice penale), introdotto nel 2019 con il Codice Rosso. Proprio la novità della norma spiega l’assenza di precedenti consolidati sul piano civile. Secondo la difesa, quando un matrimonio è il risultato diretto di violenza e minaccia accertate in sede penale, non si è di fronte a un semplice vizio del consenso, ma a una violazione di norme imperative e dei principi di ordine pubblico. Nel ricorso è stato inoltre chiesto che la prima udienza venga fissata a distanza di almeno un anno dall’iscrizione a ruolo della causa. L’atto deve essere tradotto in lingua inglese e notificato in Pakistan secondo quanto previsto dalla Convenzione dell’Aja, una procedura che richiede tempi lunghi e il coinvolgimento delle autorità straniere. Un passaggio che potrebbe fare scuola. Il reato di costrizione al matrimonio è entrato nel codice penale, ma il codice civile non è stato aggiornato in modo esplicito. Per la giovane significherebbe essere libera anche sul piano giuridico, senza più risultare sposata per lo Stato italiano e pakistano, e poter costruire una vita autonoma. © RIPRODUZIONE RISERVATA
