Un giorno di ordinaria odissea di un pendolare sul treno della Reggio-Ciano
Tra convogli pieni e ritardi, il viaggio di chi arriva ogni giorno in città sui convogli della linea che attraversa la Val d’Enza
Reggio Emilia Martedì mattina (16 dicembre 2025, ndr). Presto. Anzi, no. Tarda notte. Notte inoltrata. Dipende da come si guarda l’orologio. Visibilità quattro metri buoni, guazza all’inverosimile. Freddo cane. Piove a secchiate ed è una di quelle giornate che vorresti essere nato altrove e, soprattutto, non essere arrivato quasi ai 45 e non riuscire a dire la esse come una persona qualunque. Cioè, per intenderci: pesce e non pes(i)e. Sì, vabbè, ci siamo capiti. Ma se sei made in Reggio Emilia, non puoi nemmeno pensarci di dire la esse come gli altri. Due passi verso la stazione, dopo il cappuccio e il bignè alla cioccolata che ancora fanno festa su e giù per il palato. C’è profumo di pioggia e di diesel. Un bel mix.
Ore 6.59, minuto più minuto meno. Luci pubbliche, notte o mattina, dipende da come si guarda l’orologio, silenzio. Prime auto in giro. Il 90196 è il treno che prendo di solito, va da Ciano a Reggio. Adesso son lì che l’aspetto, in stazione. Cavriago, come sempre, stazione centrale, come sempre. Il 90196 è in ritardo. Come sempre. «Sono i canonici cinque» li abbiamo ribattezzati nel gergo pendolaresco. «Sono i cinque minuti accademici» li hanno ridefiniti i dodici-tredici maggiorenni che prendono il treno tutte le mattine e che, magari, hanno alle spalle qualche esame sparpagliato qua e là all’università. A Cavriago, come dicono i giovani d’adesso, sale un «botto» di gente e quelli che gestiscono i treni – oggi che è martedì mattina, che c’è la guazza, un freddo cane e piove a secchiate – hanno deciso di mettere «il treno corto e non quello lungo» come lo definiamo noi pendolari in un parlato altamente tecnico. E non è nemmeno la prima volta che capita. Il problema è che il 90196 non è un treno, ma è il treno, scritto in maiuscolo, cioè quello che prendono tutti per intenderci.
Tutti quelli che devono andare a Reggio per andare a scuola (tanti) o al lavoro (pochi). Insomma, mentre sale un «botto» di gente in quel di Cavriago, in un 90196 già bello strapieno, il capotreno – prima carrozza as usual – con fare accomodante sì e no si esibisce, tra lo stupore generale, in un «ragazzi, c’è anche l’autobus, prendete l’autobus!». Gli fa eco il macchinista che apre il vetro della cabina e, con-fare-simpatico-ma-non-troppo, aggiunge «se salite tutti, io non parto» tra le occhiate altrettanto simpatiche di tutti noi. Che lui non vede perché è ancora notte inoltrata e piovono secchi. Alla fine, saliamo. Tutti. Il capotreno, quello del «prendete l’autobus», fischia e il macchinista, quello del «se salite tutti, io non parto», parte lo stesso. Dentro è un po’ come il tetris. C’è gente in piedi e qualcun altro seduto. C’è uno spiattellato a un vetro, un altro che sposta lo zaino in base all’andamento del treno cercando di occupare meno spazio possibile, una con un braccio in su e una con un braccio in giù. Ci siamo incastrati bene, tutto sommato. Dentro è tutto un «oh, fra», «bella», «ma oggi raga c’è veramente un botto di gente», «amo, come stai?». I fiati, non gli strumenti, "suonano" già alle sette e qualcosa di mattina. Per il resto sono capi chini sugli smartphone e ripassi per il compito di storia. Uno dei dodici-tredici maggiorenni presenti sul 90196 deve scendere alla prossima, cioè a Reggio all’Angelo mentre il treno, nel mentre, «viaggia con un ritardo di otto minuti». E questo, non il ritardo ma il signore che deve scendere, è un bel problema.
La classica scheggia impazzita che mina gli equilibri precari di un treno pieno più che non si può. Alla fine, arriviamo all’Angelo e tra uno «scusate, permesso, scusate, permesso, devo scendere, scusate, permesso» l’uomo scende, dopo un interminabile tragitto a piedi di ben tre metri. Poco dopo Cavriago, infatti, vista la misera affluenza sul treno corto, il signore si era saggiamente alzato in piedi e avviato verso l’uscita. Ci è mancato poco che ce lo passassimo sopra le teste, stile concerto rock di quelli pesi. Via, si riparte. Il capotreno fischia, il 90196 viaggia verso Santo Stefano. Il treno stavolta si svuota per davvero. Chiedo lumi al capotreno sulla situazione. «È stato un disguido» dice. Sarà. Il 90196, tra un disguido e l’altro, nel mentre, ha collezionato 14 minuti di ritardo. Tutto nella norma. O quasi. È la vita da pendolare, ragazzo. Alla faccia dei tanti «incentivare l’uso dei mezzi pubblici» e «meno macchine in giro». Dai, almeno ha smesso di piovere. No, aspetta. Piove ancora. E sono secchi. «Ragazzi, c’è anche l’autobus». © RIPRODUZIONE RISERVATA
