Pirru: «Reggio Emilia ha la pizza più costosa? Vi spiego il lavoro che c’è dietro la mia»
Luca Pirruccio titolare delle pizzerie in centro storico in un video racconta cosa mette in una Margherita e quanto costa: «Tutti discutono del prezzo di una pizza, ma non di uno Spritz. Ma avete ancora voglia di mangiare bene?»
Reggio Emilia Una risposta diretta, numeri alla mano, a chi in questi giorni parla di Reggio Emilia come della città con la pizza più cara. Luca Pirruccio, pizzaiolo e titolare di Pirru, con tre locali in centro storico e altri in provincia, affida ai social un video che è insieme sfogo e spiegazione. Una presa di posizione a difesa della categoria, ma soprattutto un invito a guardare cosa c’è davvero dietro il prezzo di una pizza: materie prime, lavoro, tempi di produzione, costi fissi e servizio. Non una polemica fine a se stessa, ma un ragionamento che prova a spostare il dibattito dal “quanto costa” al “perché costa così”.
«Vorrei fare una piccola polemica a favore di tutti i pizzaioli del mondo, perché ultimamente si parla tantissimo del prezzo della pizza, spesso senza entrare davvero nel merito di cosa sia oggi una pizza e perché il suo costo possa essere diverso da locale a locale, da città a città, da impresa a impresa – dice in premessa nel video – Oggi la pizza viene proposta in mille modi diversi, proprio per questo esistono prezzi diversi. Ma chi lavora seriamente sa anche che, se si vuole essere puntuali e onesti, è possibile spiegare abbastanza chiaramente dove si arriva con il prezzo finale. Prendiamo la mia pizza. Tutti dicono che Reggio Emilia è una città cara: proviamo a capire perché, partendo dai numeri». «Io parto da un impasto fatto con 50 kg di farina, acqua e olio extravergine d’oliva, quello che uso io. Da questo impasto ricavo in totale circa 230 palline. Fate voi i conti e capite quanto pesa ogni pallina – va avanti -. Per fare la mia Margherita uso il mio pomodoro, coltivato per me nell’Agro Sarnese, con consorzio autorizzato e mia etichetta. I ragazzi lo passano uno a uno per ottenere la salsa. Ne uso 150 grammi su ogni pizza: il costo è 6 euro al chilo. La mozzarella è fatta apposta per me, con latte del Parmigiano Reggiano. Su ogni pizza ne vanno 100 grammi: la mozzarella costa 7,50 euro al chilo. Ho fatto i calcoli: se vogliamo imputare il costo della pallina solo sugli ingredienti, siamo intorno ai 60 centesimi. A questo va aggiunto il costo del lavoro: almeno un’ora per fare l’impasto, che può valere anche solo 20 euro, poi i costi fissi. Il mio impasto va a nanna due giorni in massa, poi i pizzaioli tagliano, fanno le palline e c’è un altro giorno di riposo. In totale servono tre giorni di gestione per arrivare a una pizza pronta».
«Il costo di una Margherita comprende tutto quello che c’è dietro, non solo ciò che si vede nel piatto. Ora vi faccio una domanda: quando dite che una pizza è cara, a cosa imputate davvero quel prezzo? Pensate alla location, alla città, a dove si trova il locale? Al costo dell’affitto, alle utenze, ai dipendenti? A come sono inquadrati, a che livello sono, a che tipo di formazione c’è dietro? Se uno fa davvero i conti, capisce che una pizza si porta sempre dietro una serie di costi. Poi consideriamo tutti i costi fissi ed extra: utenze, struttura, gestione. Se la portiamo a casa, c’è il costo del cartone, 25–40 centesimi, il costo del driver. Se la portiamo al tavolo, nessuno ci pensa, ma c’è il costo del servizio: coperto, personale, lavapiatti, ordini, camerieri. Vi faccio un’altra domanda. Una Spritz al tavolo, in centro storico a Reggio, costa 7 euro. Che lavoro c’è dietro? Eppure nessuno discute i 7 euro. Tutti però discutono una Margherita che pesa più di mezzo chilo, fatta a mano, che costa 6 o 7 euro. Allora come dobbiamo fare per tutelare la categoria? La gente ha ancora voglia di mangiare bene? O bisogna industrializzare tutto, perché altrimenti un’impresa non riesce a sostenere nulla?». Domande aperte, a cui Pirru attende una riflessione.