Gazzetta di Reggio

L'episodio

Il fidanzato non vuole: niente gita. Bruzzone: «Non un caso isolato»

di Lara Lugli
Il fidanzato non vuole: niente gita. Bruzzone: «Non un caso isolato»

L’intervento della criminologa sul caso della studentessa di Carpi

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CARPI. La vicenda della studentessa carpigiana che ha rinunciato alla gita scolastica perché il fidanzato “non poteva geolocalizzarla” ha attirato l’attenzione anche di Roberta Bruzzone, nota criminologa e opinionista italiana.

Dopo l’articolo pubblicato dalla Gazzetta di Modena, la storia è stata ripresa sui social da Bruzzone, criminologa tra le più seguite in Italia, che ha definito l’episodio «uno dei segnali più inquietanti della sopravvivenza degli stereotipi patriarcali nelle relazioni tra giovanissimi».

La vicenda

Il caso era stato raccontato domenica scorsa, durante l’incontro organizzato dalla Croce Blu di Carpi e dedicato a bullismo, violenza di genere e femminicidi. Proprio lì una docente aveva riferito la confidenza dell’adolescente: non sarebbe partita perché il suo ragazzo pretendeva di monitorarla tramite smartphone.

«Però lui mi ama», aveva aggiunto la ragazza, quasi a giustificare una rinuncia che agli adulti in sala era sembrata il campanello d’allarme di un controllo silenzioso, normalizzato. Bruzzone ha ripreso la notizia definendola «non una ragazzata, ma una limitazione della libertà personale rivestita da normalità». Nel suo commento, la criminologa ha ricordato come le ricerche più recenti mostrino un aumento allarmante di comportamenti di controllo nelle coppie adolescenti: molte ragazze tra i 14 e i 20 anni considerano “normali” pressioni, divieti, ricatti affettivi, rinunce a occasioni di socialità per evitare lo scontro con il partner. Un’idea distorta della relazione, dove la gelosia diventa la misura dell’amore e la rinuncia una prova di fedeltà.

L'intervento
Il punto sollevato da Bruzzone è netto: la dinamica emersa a Carpi non è un episodio isolato, ma la spia di un modello culturale che continua a infiltrarsi nella quotidianità dei più giovani con una forza sorprendente. «Quando una ragazza cancella un’occasione di crescita per non farsi “perdere di vista” da un altro, siamo di fronte a una subalternità interiorizzata», osserva la criminologa. «E questa non può essere archiviata come normale», ha aggiunto. Le sue parole hanno amplificato una discussione già accesa nel corso del convegno carpigiano, dove dirigenti scolastici, psicologi ed educatori avevano sottolineato come il controllo digitale, la gelosia monitorata tramite app e social, i divieti travestiti da “attenzione” siano forme di violenza relazionale sempre più diffuse tra preadolescenti e adolescenti. Fenomeni che spesso sfuggono agli adulti perché avvengono negli interstizi quotidiani: chat private, scelte scolastiche, attività extrascolastiche abbandonate per “quieto vivere”. La reazione di Bruzzone ha trasformato un fatto locale in un caso simbolico, rilanciando un messaggio che tocca ogni livello della comunità educante.

«La libertà non è negoziabile. Nemmeno a 14 anni. Nemmeno per amore», scrive la criminologa. Ed è proprio su questo che invita a intervenire: un’educazione affettiva più strutturata, modelli relazionali sani e una tolleranza zero verso ogni forma di controllo presentata come premura. La storia della studentessa modenese non è soltanto una cronaca: è uno specchio. E il modo in cui la società decide di guardarsi dentro potrebbe determinare quanto a lungo questo modello culturale continuerà a replicarsi nelle generazioni che stanno crescendo ora.

Il caso, come detto, ha destato un certo scalpore. Al convegno aveva preso parte Amanda Ferrario, dirigente scolastica dell’Istituto Tosi di Busto Arsizio, Davide Gori, psicologo e psicoterapeuta, Barbara Mapelli del Comitato Scientifico della Fondazione Cecchettin e Diego Cellamare, del Movimento Nazionale Antibullismo “Ma Basta”. L’incontro era stato moderato dal giornalista della Rai e Start Magazine Ruggero Po. l