Gazzetta di Reggio

La novità

Per il negozio di bambole iperrealistiche un debutto con tanta curiosità

di Maria Sofia Vitetta

	L'apertura del negozio e una bambola
L'apertura del negozio e una bambola

Inaugurato lo showroom della startup Sintwin (“Sorelle del peccato”) in viale Crispi, accanto alla stazione dei treni. Il fondatore Ivan Taddei: «Ho letto dichiarazioni che non rispecchiano un’analisi del fenomeno, ma una reazione istintiva a qualcosa che non si conosce»

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MODENA. Shizuka, Penny, Cecily, Sydney, Ada, Bailey, Nina e tante altre. Chi in camice da infermiera, in divisa da poliziotta, in kimono, in costume o in abito da sera. Nel pomeriggio di sabato 22 novembre, ad accogliere i presenti in occasione dell’inaugurazione di un nuovo showroom in viale Francesco Crispi 23, accanto alla stazione dei treni, sono stati tredici prototipi di bambole iperrealistiche, ciascuna con nome, caratteristiche e funzionalità diverse. Il negozio, già annunciato nei giorni passati e oggetto di critiche da parte di associazioni come l’Udi (Unione donne italiane) di Modena e di altre figure istituzionali, ha mostrato per la prima volta i suoi prodotti.

Il fondatore della startup

«Per noi è un giorno di gioia, che deriva da due anni di sacrifici e studi», ha spiegato Ivan Taddei, fondatore della startup Sintwin. «Le bambole – ha proseguito – non si rivolgono a un cliente tipo o un target specifico. Single, coppie, persone sole, coloro che, per curiosità o necessità, si avvicinano a questo mondo non sono esclusi. Negli ultimi giorni, riguardo all’apertura del nostro showroom, abbiamo letto dichiarazioni che definire sorprendenti è poco. Parole come “maschilismo”, “mercificazione”, “oggettificazione”, “gratificazione solipsistica” sono state lanciate con una facilità che rivela non un’analisi del fenomeno, ma una reazione istintiva a qualcosa che non si conosce». Secondo Taddei, deve essere fatta chiarezza su una differenza: «Non sono le donne ad essere trattate come oggetti: sono gli oggetti a essere trattati come donne. Una bambola non sostituisce una donna, non limita la sua libertà, non riduce la sua dignità. È un supporto simulativo, non la rappresentazione di un genere da dominare». Con queste parole l’ideatore della startup ha cercato di rispondere ai giudizi espressi dalle segretarie del Pd Marika Menozzi e Patrizia Bellelli, che avevano definito le bambole un prodotto capace di cristallizzare stereotipi e mercificare le donne.

I partecipanti all’inaugurazione

Sulla porta e sullo zerbino la scritta Sintwin (“Sorelle del peccato”) non lascia intuire facilmente di cosa si tratti. C’è chi è passato proprio lì davanti, guardando la folla davanti all’ingresso dello showroom, senza capire il significato di questa nuova apertura. Eppure, molti dei partecipanti non si trovavano casualmente in viale Francesco Crispi. Non sono stati comunque solo uomini a definirlo un progetto innovativo, ma anche alcune donne: «I sex toys esistono da anni. Al posto di una prostituzione in carne ed ossa possiamo vederci qualcosa di un po' intimo e meno pericoloso. Non vengono sfruttate delle donne».