Gazzetta di Reggio

La tradizione

«Senza i caplet, le mia nadel»: il viaggio nella cucina che ha conquistato il mondo

Alberto Ferrari
«Senza i caplet, le mia nadel»: il viaggio nella cucina che ha conquistato il mondo

Reggio Emilia, Il riconoscimento Unesco spiegato dai riti di nonne e rezdore

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Reggio Emilia Questa è una storia che inizia con "C’era una volta". C’era una volta Carola, suocera di Antonietta, nonna di Maddalena. Carola, detta "Carolon", per la sua stazza imponente e per i suoi modi non tanto delicati, era una maga nel tirare la pasta fresca a mattarello. Diceva che per 1 chilo di farina ci andavano 10 uova, se no che pasta era. Tirava la sfoglia liscia liscia, sottile sottile, lei che era ruvida e spigolosa.

Dopo Carola, anche Antonietta, nei modi regale e fatata, tanto che veniva chiamata “Principessa”, usava 10 uova e la sua pasta era liscia liscia, sottile sottile. Insegnò l’arte che le aveva trasmesso sua madre a sua figlia, Maddalena, detta Medi. Quest’ultima, energica e morbida, come tutte le nonne, non usa più il mattarello, ma la pasta è ancora liscia liscia. Un po’’ meno sottile però, perché alla Medi piace che il tortello o il cappelletto abbia consistenza sotto al dente, “al ga mia da spapleres”.

In questi giorni, in cui le feste sono alle porte, Maddalena sta insegnando a fare i ripieni e a impastare ai suoi giovani nipoti. «Non si può perdere questa tradizione, dovete imparare anche voi – dice sempre – Senza i caplet, le mia nadel». E ha ragione. Non è Natale senza le tavolate imbandite, senza i bottoni che rischiano di scoppiare perché si è mangiato troppo. Non è Natale senza l’applauso alla cuoca, non è Natale senza le tradizioni. Le preparazioni cambiano, chi usa gli amaretti nei tortelli di zucca e chi no, chi chiude il cappelletto sul mignolo e chi, come la Medi, ha l’artrosi e non ci riesce più. La cucina italiana è diventata Patrimonio immateriale dell’Unesco.

La nonna Maddalena, appena l’ha saputo, ha prontamente commentato: «Vedi nani, non stai ingrassando, ti si vede addosso la cultura». Noi reggiani siamo immersi nella cultura culinaria e infatti siamo dei fenomeni da studiare. Ci sediamo a tavola e anche mentre mangiamo, parliamo di cibo. Sicuramente la qualità delle nostre primizie, gli accostamenti visionari di sapori e la ricerca, ci hanno portato a questo importante riconoscimento. Chissà però, se al Carolon, sarebbe importato qualcosa della cucina concettuale. Massimo Bottura, chef pluristellato e rinomatissimo a livello mondiale, ha detto: «L’Unesco non ha riconosciuto un ricettario, ma un rito collettivo». L’Antonietta lo avrebbe abbracciato. È un patrimonio inestimabile la cura, l’amore, il tempo e le energie che gli italiani, e noi reggiani in primis, dedichiamo alla tavola. Quando due mani rugose, vissute e segnate dalla vita, affondano nella farina e nelle uova, quando ci si raduna in otto attorno ad un camino per decidere il menù, quando una famiglia intera mette in pausa il mondo perché bisogna preparare i tortelli, qui sì che siamo da Patrimonio dell’Umanità. Dell’umanità, appunto.

Il riconoscimento, allora, non è tanto per il valore del piatto, ma per tutta la sua meravigliosa storia. Una storia fatta di persone, di emozioni, di noi. Il valore collettivo, identitario e sociale rappresentato dalla tradizione culinaria reggiana, è un tesoro da continuare a custodire. Vedere due rezdore che discutono animatamente in dialetto riguardo alle carni da inserire nel "pieno" dei cappelletti, ci suscita quella tenera curiosità che ci fa tornare a quando, bambini, correvamo intorno alla tavola. Il cibo e le tradizioni tengono vivo il nostro fanciullino, che viene già abbastanza imbruttito dai casini di tutti i giorni. Fermiamoci, lasciamoci cullare da quegli odori e da quei sapori che davvero sono uno dei nostri patrimoni più grandi. La vita adesso va più veloce, si è meno a casa, si ha meno tempo e, ahimè, le nonne non sono eterne. Tutto ciò che in questi ultimi giorni ci ha reso grandi agli occhi del mondo, rischia di perdere rilevanza e via via, cadere nel dimenticatoio. Nostro compito sarà quello di continuare a raccontarci attraverso i piatti della tradizione, che sanno di quello che siamo stati, siamo e sempre saremo. l© RIPRODUZIONE RISERVATA