Gazzetta di Reggio

Sport

L’amarezza di Salvati: «La Riese mi ha scaricato»

L’amarezza di Salvati: «La Riese mi ha scaricato»

Promozione, l’ex bomber: «Con questa maglia ho giocato per 8 anni, meritavo miglior trattamento»

30 maggio 2014
3 MINUTI DI LETTURA





RIO SALICETO. La stagione che si è appena conclusa non è di certo stata come Umberto Salvati se la sarebbe aspettata. L'attaccante della Riese, che ha condotto la squadra dalla Seconda categoria alla Promozione vincendo per due anni consecutivi il titolo di capocannoniere era tornato nella formazione rossonera per la seconda parte di campionato, onorato di essere stato richiamato dopo che in estate le strade si erano separate e Salvati aveva scelto Cavola per restare più vicino alla famiglia.

Salvati, se dovesse fare un commento sulla stagione che si è appena conclusa?

«Sicuramente particolare. Dopo otto anni alla Riese e dopo aver vinto i campionati di Seconda e Prima categoria conquistando anche il titolo di capocannoniere avevo scelto di avvicinarmi di più a casa per stare vicino alla mi compagna e alle mie due figlie».

A gennaio però arriva la chiamata della Riese?

«Esatto e sono stato molto onorato di questo perché ho passato otto anni bellissimi in quello spogliatoio e avevo ricordi indelebili che mi legavano a quella società. A gennaio ho scelto di tornare per poter disputare anche il campionato di Promozione, in cui non avevo mai giocato e per me rappresentava una nuova sfida in un ambiente che conoscevo molto bene».

Nel girone di ritorno qualcosa però è cambiato?

«Il tecnico (Artoni ndc) aveva chiesto un solo cambio della rosa a disposizione e la scelta ricadde su di me. La squadra aveva già collezionato 25 punti e, di fatto, poteva già guardare con ottimismo alla salvezza che era l'obiettivo della stagione. Senza motivi apparenti la società ha scelto di mandare via l'allenatore e tre dei giocatori più rappresentativi e, noi abbiamo accettato la scelta suppur non la condividevamo».

Via Artoni è arrivato Borghi, ma i risultati sono stati un disastro?

«La scelta non era condivisa dai giocatori e non siamo stati in grado di seguire in pieno il nuovo tecnico, che era già all'interno della società e tutti conoscevano. Questa è sicuramente stata colpa nostra, ma in ogni partita almeno uno o due giocatori venivano espulsi e, alcuni anche dopo soli pochi minuti di gioco».

Tra lei e Borghi il rapporto non è stato idilliaco?

«Avevamo già avuto uno screzio sei anni fa, quando lui era sempre subentrato a stagione in corso e, probabilmente ce l'aveva ancora con me da allora. Dopo i tre giocatori che furono mandati via a gennaio, iniziarono a prendersela prima con Mazza e poi con me. Probabilmente si aspettavano che io avessi potuto salvare la Riese da solo, ma in un campionato in cui non ho mai giocato questo era molto difficile e iniziarono a sostenere che fossi un giocatore finito».

Parlò con il Presidente?

«Sì, a due mesi dal termine della stagione il presidente mi disse che non poteva più pagarmi i rimborsi della benzina fino al termine della stagione e, per questo motivo parlandone anche con la mia famiglia ho deciso di dire basta perché non potevo permettermieconomicamente di fare quasi 400 km al mese senza avere i rimborsi. E' stato in quel momento che ho deciso di rimanere a casa».

La vera delusione per lei è però arrivata al termine del campionato?

«Esattamente, perché sono venuto a sapere da squadre che avevano chiamato la Riese per avere informazioni su di me che il ds Carrettin ha fatto pessime relazioni nei miei riguardi anche da un punto di vista comportamentale. Se avessero criticato le mie capacità sul campo l'avrei accettato, ma le offese morali mi hanno ferito gravemente anche perché ho dato tutto per la Riese e mi sarei aspettato un trattamento migliore».

Si è dato una spiegazione?

«Non so se sia stato legato al fatto che io abbia deciso di rimanere a casa perché non potevano più pagarmi i rimborsi spesa o per altri motivi che io non conosco. Personalmente sono rimasto molto ferito da tutto questo, ma fortunatamente volterò pagina».

Andrea Munari