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«Nicolò ha la moto nel Dna, già a sei mesi nel paddock»

«Nicolò ha la moto nel Dna, già a sei mesi nel paddock»<br type="_moz" />

Il racconto di Davide Bulega, papà del campione del mondo «Quando avevo il mio team mi seguiva e correva dai piloti»

02 ottobre 2023
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La grande cavalcata del pilota reggiano Nicolò Bulega nel campionato mondiale Supersport, coronata dal titolo iridato e da 14 vittorie in stagione (ieri, in gara 2 a Portimao è giunto secondo), record mai raggiunto da nessun pilota in questa classe, nasce tanti anni fa grazie al papà Davide, ex pilota degli anni Novanta nel mondiale 250 cc e nel mondiale Supersport tra il 1999 e il 2001 con Ducati e Yamaha.

Grazie alla grande passione di famiglia, Nicolò ha iniziato da bambino a frequentare le piste del campionato mondiale, primo tifoso del papà, per poi iniziare la sua carriera gareggiando nelle minimoto.

Davide, ci racconti il Nicolò bambino quando la seguiva in occasione delle gare.

«Nicolò aveva appena 6 mesi quando lo portai le prime volte con me. Prima in Australia e poi Giappone perché a quell’epoca correvo ancora, praticamente è cresciuto tutta la vita nel paddock e anche quando ho smesso di correre, ho dato vita a un mio team con cui partecipavo al mondiale Supersport. Lo lasciavo in hospitality con la zia e lui le scappava e mi raggiungeva nei box e voleva starmi attaccato mentre parlavo con i piloti e i tecnici, lo portavo indietro in hospitality e quando ritornavo nei box, lui era arrivato prima di me».

Le stava dicendo che quella voleva essere la sua vita...

«In effetti... A tre anni il primo go kart, a quattro la prima minimoto, che usava nel paddock, da quel momento non è più sceso dalla moto, facendo minimoto, minigp, pregp, Moto3, Moto2 e Supersport».

Che ricordi ha delle sue prime gare motociclistiche?

«Ricordo che iniziò a correre in minimoto a sette anni, nella sua prima gara finì ultimo e mentre premiavano i bambini sul podio, mi disse piangendo: Papà io un giorno ne vincerò una».

Ha mantenuto la promessa.

«Sì ma non è stato facile, né per lui né per noi che volevamo assecondarlo nei suoi desideri. Penso a quanti chilometri ho fatto in auto per farlo allenare nelle piste, noi a Reggio non ne abbiamo ed ero costretto ad andare a Misano, Cattolica e Riccione. Intendiamoci, non è mai stato un peso per me: mio figlio condivideva con me la medesima passione».

Ci racconta come è stata la scalata di Nicolò sino alla Moto 2?

«Tutto è nato con il progetto VR46 Riders Academy, firmai due mandati da tre anni l’uno. Nel 2018 doveva fare la Moto2 poi abbiamo avuto forti pressioni da VR46 per rifare un altro anno in Moto3, sbagliammo perché Nicolò era troppo alto per quella categoria».

Poi dopo la Moto 3, suo figlio è passato in Moto 2.

«Nel 2019 passò in Moto2 e secondo me non fece male, ricordo qualche seconda fila e risultati a ridosso tra il 5° e il 10°, non male per un debuttante in quella categoria».

Cosa a suo avviso non ha funzionato in quelle stagioni e perché?

«È un ambiente complicato, problematico e a volte superficiale, dove i giovani piloti vengono molto spesso plagiati e messi contro la famiglia; nella fase Moto3, a parte il 2015 anno in cui Nicolò vinse il mondiale Junior, e il 2016, quando al debutto nel mondiale venne fermato solo dalla rottura dei legamenti di una spalla, abbiamo avuto sempre tanti problemi».

Che genere di problemi?

«Nel 2017 le Ktm non andavano, vinsero solo una gara mentre le Honda arrivavano tutte nei primi 10 posti. Nel 2018 e 2019 le cose con la dirigenza VR46 non andavano più bene, siamo arrivati al punto che per discutere del futuro dei piloti e di aspetti tecnici dovevamo confrontarci con il loro preparatore tecnico. Quella fu una delle ragioni per cui andammo da Gresini, che poi ci chiese quali tecnici avremmo voluto per il 2021 e noi fornimmo loro dei nomi che sono poi stati assunti».

Poi cosa è successo?

«Il 2022 sembrava l’anno giusto, ma prima la morte di Gresini, quindi altri problemi familiari hanno finito per destabilizzare Nicolò. Purtroppo molti ci hanno messo contro e siamo stati quasi due anni senza vederci, un vero e proprio calvario, la gente invece di avvicinarci ci allontanava sempre di più».

Poi, però vi siete chiariti.

«Sì, ci siamo incontrati e abbiamo capito che non potevamo fare a meno l’uno dell’altro».

Veniamo all’attualità: il connubio Ducati-Bulega è stato vincente, quali i segreti e le qualità dimostrate da moto e pilota?

«Secondo la mia modesta opinione, Nicolò quest’anno avrebbe vinto anche in sella a un’altra moto, ha guidato da paura e questo per un pilota significa aver ritrovato l’autostima e la velocità. A quel punto, e lo dico da ex pilota, non ti può fermare niente e nessuno. La moto quest’anno era ottima, ma resta il fatto che quella di Nicolò è l’unica Ducati sempre davanti, tenendo testa a un gruppo di Yamaha velocissime e super competitive».

Il rivale per la corsa al titolo, Manzi, non ha risparmiato qualche frecciata proprio a proposito della moto.

«Credo che Manzi sia un buon pilota ma in questo caso si sbaglia: andate a vedere i tempi e le qualifiche dello scorso anno, quando Aegherter era il più veloce nonostante avesse la stessa moto di Manzi».

Ora com’è il rapporto padre-figlio, ma soprattutto come funziona?

«Direi molto bene, prima di ogni partenza e dopo ogni gara ci vediamo, pranziamo insieme, mi parla delle sue intenzioni, ci confrontiamo, è diventato un uomo saggio, umile e concentrato su ciò che fa, è piacevole passare tempo insieme».

A inizio stagione pensava al titolo mondiale con il record assoluto di vittorie?

«Ci credevo molto, anche se una cavalcata così onestamente non la potevo immaginare: Nicolò è stato un cannibale, su ogni tracciato ha dimostrato il suo valore».

Nella prossima stagione sarà in Sbk, cosa si aspetta? Pensa possa essere subito protagonista?

«L’ho visto guidare a Misano Adriatico con la Sbk... devo essere sincero, protagonista non lo so, ma in qualche bella gara ci credo moltissimo».

Come festeggerete la conquista del titolo iridato?

«Se lo dico ora gli rovino la sorpresa, però ci stiamo organizzando. Se lo merita e non lo dico solo da papà, ma da suo primo tifoso».l

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