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Dopo il Gp in Arabia Saudita

Ferrari, il prodigio Bearman cavallino di talento: può diventare il Buffon della Formula 1

Federico Lazzotti
Ferrari, il prodigio Bearman cavallino di talento: può diventare il Buffon della Formula 1

A 18 anni ha sostituito sulla Ferrari Carlos Sainz arrivando settimo

11 marzo 2024
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Prodigio, dal latino prodigium, significa davanti, prima. In altre parole annuncia qualcosa con anticipo. Nell’antichità di solito erano eventi particolarmente infausti, roba di guerre perse, terribili carestie o maledizioni millenarie, innescate spesso da uno sgarbo fatto da un eroe avventato a una divinità particolarmente irosa. Poi è arrivato lo sport e il significato di prodigio è stato appiccicato addosso a chi manifesti «doti eccezionali prima degli altri», illuminando l’oggi, come fanno i predestinati, per cambiare il futuro e gli equilibri di quella disciplina.

Dentro a questa ristrettissima cerchia di eroi moderni che incantano, annunciando al mondo, senza preavviso il loro talento, si è aggiunto sabato 10 marzo il nome di Oliver Bearman, 18 anni e 305 giorni, il più giovane pilota ad aver mai corso in Formula 1 con una monoposto Ferrari. Capace in poche ore di saltare da una macchina di Formula 2, era in pole, alla regina delle auto da corsa per sostituire il povero Carlos Sainz, messo fuori pista da un attacco di appendicite. Ollie è sbarcato in Arabia di giovedì con quella faccia da compagno di banco che arriva alla festa in ritardo e un po’ assonato, ma minuto dopo minuto si prende senza sforzi apparenti le attenzioni di tutti: undicesimo nelle prove e poi settimo in gara, per cinquanta giri capace di far volare il cavallino numero 38 a una media di quasi 225 chilometri orari, tenendo dietro un certo Lewis Hamilton e dando l’impressione di avere sempre la situazione sotto controllo.

Questo nonostante non avesse mai guidato sul serio la SF-24, se non dentro la realtà virtuale del simulatore. Praticamente come guidare un Boing dopo aver fatto pratica girando in cortile con una Vespa Px. Delle dichiarazioni fatte dal pilota inglese prima e dopo il Gran Premio ce n’è una che dà la misura del materiale di cui è fatto Bearman: «Mio papà – ha detto – era più nervoso di me...». È verosimile, perché per il prodigio, ciò che agli altri appare eccezionale, unico, complesso, è, al contrario, normale. Ed è proprio lì che sta il segreto di chi arriva davanti prima degli altri. Ricordate Gigi Buffon quando il 19 novembre 1995, ad appena 17 anni, esordì in un Parma-Milan che valeva la testa della classifica? Tutti – a cominciare dall’allora allenatore rossonero Fabio Capello – si stupirono della faccia tosta di quel ragazzino capace di salvare il risultato su Baggio, Simone e Weah. Lui, invece, dopo il match aveva la faccia di chi è appena tornato dalla spesa. Gli stessi occhi di Valentino Rossi quando, sempre a 17 anni, vinceva il primo Gran premio in 125, oppure la sicurezza di Paolo Maldini, anche lui a 17 anni, entrò in campo con la maglia del Milan per non togliersela più nei successivi tre decenni. Stesse storie di altre stelle dello sport: le Olimpiadi di Michael Phelps a Sidney quando aveva 15 anni, il primo Slam di Monica Seles a 16 e qualche mese. Certo, non tutti i prodigi riescono col buco. Diego Nargiso, tennista di discreto livello, sopratutto in doppio, e oggi commentatore tv, fu una stella cometa nel cielo buio del movimento italiano (Sinner non era nemmeno nei pensieri dei suoi genitori), quando nel 1987 vinse il torneo juniores di Wimbledon. Purtroppo per lui e per il nostro tennis non si è mai più ripetuto. Ollie, vedi di non fare una palla corta beffarda alla F1.l © RIPRODUZIONE RISERVATA