Gazzetta di Reggio

Sport

L’intervista

Giuliano Razzoli eroe di Vancouver lascia lo sci: «Ho dato tutto, sono sereno»

Giuseppe Galli
Giuliano Razzoli eroe di Vancouver lascia lo sci: «Ho dato tutto, sono sereno»

Il campione olimpico di slalom nel 2010, dice basta a 39 anni. In carriera vanta undici podi in Coppa del mondo e sei in Coppa Europa

21 maggio 2024
6 MINUTI DI LETTURA





Reggio Emilia L’ora dell’addio è arrivata. A 39 anni compiuti, Giuliano Razzoli da Villa Minozzo, portacolori dell’Esercito, ha detto basta. Lascia lo sci agonistico e la sua amata specialità, lo slalom, dopo 18 stagioni al vertice dello sci internazionale: 157 gare in Coppa del mondo, cui vanno aggiunte tre partenze alle Olimpiadi e otto ai Mondiali. Una carriera in cui spicca la vittoria nello slalom olimpico di Vancouver 2010 quando, sulla pista di Whistler, mise tutti in riga e regalò all’Italia l’unica medaglia d’oro dell’intera spedizione canadese, salvando l’onore agli azzurri. Quell’oro che nello slalom mancava all’Italia da 22 anni e che, manco a dirlo, era stato vinto dal suo amico e tifoso Alberto Tomba, un altro emiliano, che in quella notte magica era nel parterre a caricarlo con quel memorabile «Vai Razzo, veloce e feroce!», pronunciato prima della trionfale seconda manche. Un trionfo che ha caratterizzato una carriera condita da altri risultati di prestigio, a cominciare dal primo podio (terzo posto) conquistato a Zagabria nel 2009 seguito, due mesi dopo, dal secondo posto a Kranjska Gora, una delle sue piste preferite.

Nato il 18 dicembre 1984 a Castelnovo Monti, Razzoli, oltre all’oro olimpico, può vantare undici podi in Coppa del mondo di slalom, dove ha esordito il 18 dicembre 2006: due primi posti, il 6 gennaio 2010 a Zagabria (Croazia) e il 19 marzo 2011 a Lenzerheide (in Svizzera); cinque secondi posti (Kranjska Gora 2009 e 2015, Alta Badia 2011, Meribel 2015, Wengen 2016) e quattro terzi posti: a Zagabria (Croazia, 2009), a Kitzbühel (Austria, 2010 e 2011) e a Wengen (2022). Il 16 gennaio 2022, col terzo posto conquistato nello slalom disputato a Wengen, in Svizzera, il Razzo ha stabilito il nuovo primato di atleta più anziano a salire sul podio in Coppa del mondo in tale specialità.

Nel suo palmares ci sono anche tre vittorie, due secondi posti e due terzi in Coppa Europa e sei medaglie (3 ori, 2 argenti e 1 bronzo) ai campionati italiani di slalom. Atleta del corpo degli Alpini, ha vinto anche due ori ai Mondiali militari, nel 2010 in Val d’Aosta e nel 2013 ad Annecy.

Le ultime due stagioni non sono andate proprio come Razzoli avrebbe voluto, afflitto da problemi fisici che non gli hanno mai permesso di esprimersi al meglio, fino alla decisione di dire basta. Gli era già successo, in passato, di dover combattere con una stagione senza gioie, ma aveva trovato la forza per risalire ancora fino al vertice, grazie a quel 5° posto a Campiglio nel 2018, quando partiva con il pettorale 69. E da lì tornare a sfiorare una medaglia olimpica nell’edizione 2022 dei Giochi, quando in Cina si classificò ottavo, ma a soli 26 centesimi da quella che sarebbe stata un’incredibile medaglia di bronzo. L’avrebbe finita lì, la sua carriera, con quella seconda medaglia olimpica al collo, ma proprio quel podio «solo sfiorato» lo indusse a non demordere. «Ho sfiorato l’impresa: se l’avessi raggiunta avrei detto basta subito, sarebbe stato incredibile prendere quella medaglia. Seguendo il cuore, non si vorrebbe mai smettere di sciare, perché le emozioni che si provano e si riescono a trasmettere sono uniche – commenta Giuliano Razzoli nel giorno in cui l’addio diventa ufficiale –. Non è facile dire basta. Dopo quel 2022, mi è venuta voglia di continuare ma sono seguite due annate con troppi guai fisici e, alla mia età, recuperare è sempre più difficile».

Quali sentimenti l’attraversano in questo momento?
«Ci sono tante emozioni in gioco, ma sono sereno, perché è arrivato al momento giusto. Ho dato tutto, non so cosa potrei fare di più e il fisico mi ha detto che è ora di smettere».

Se si volta indietro cosa vede?
«Vedo tante emozioni, mie e di chi mi è stato vicino, dei miei tifosi, degli italiani e degli sportivi, e sono felice. La gioia più grande è stata condividere le mie emozioni con gli altri e vi posso assicurare che, da quando avevo 9 anni e ho iniziato a fare le prime gare fino ad oggi, che ne ho quasi 40, sono state tantissime».

Se le tolgo la medaglia di Vancouver, qual è stata la sua gioia più grande?
«Tutte, una dopo l’altra. Da quando ero giovane e vincevo le prime gare, al primo successo ai campionati italiani, nel 2006. Poi il primo podio, la prima vittoria in Coppa del mondo e, soprattutto, i grandi rientri dopo gli infortuni. Penso al quinto posto a Campiglio nel 2018, all’ultimo podio a Wengen nel 2022».

Vorrei tornare al 6 gennaio 2010, alla sua prima vittoria in Coppa del mondo, con il mitico Alberto Tomba che la porta in trionfo. Lì, a mio avvviso, è nata la sua vittoria di Vancouver.
«A volte, per vincere bisogna avere vinto. È la vittoria che dà a un atleta la consapevolezza di essere tra i migliori. Quella vittoria è stata una conferma del mio livello e mi ha dato consapevolezza. Fu un punto di partenza per l’oro olimpico».

Il 2010 è la sua stagione migliore?
«A dire il vero ne ho fatte di altre, in cui mi sentivo più forte e più completo: penso al 2015 e a inizio 2016, prima di rompermi il ginocchio. Ero sempre là davanti».

Otto partecipazioni ai Mondiali, nessuna medaglia. È forse questo il suo più grosso rimpianto?
«Nel 2015 avrei potuto vincerli, invece ho sbagliato. A Vail, in Colorado, vinse Grange ma io ero superiore: uscii nella prima manche, a metà gara, mentre stavo facendo un tempo incredibile».

Adesso è diventato papà di Emanuele, tutto passa in secondo piano?
«In questo momento mio figlio ha la priorità su tutto: io e mia moglie Elisa siamo molto felici di vivere questo momento. È un’emozione unica e sono grato a mia moglie».

Che farà Giuliano Razzoli “da grande”? Si dedicherà alla sua passione, l’aceto balsamico, o cercherà di restare mel mondo dello sci?
«O entrambi, perché no? Scherzi a parte, produrre aceto balsamico è sempre stata la mia passione e un po’ di impegno, nell’acetaia di famiglia, l’ho sempre messo. Ho anche l’onore di rappresentare il Consorzio dell’aceto balsamico di Reggio Emilia e ora potrò dedicare più tempo e maggiori energie a queste attività. Lo sci? Ho avuto qualche proposta ma è ancora tutto prematuro».

L’ultima domanda vorrei dedicarla al Razzo Fan Club: cos’hanno significato per lei i suoi tanti tifosi?
«Ciò che mi ha reso unico a livello mondiale è stato il seguito che ho avuto. Non sono il più forte degli ultimi 18 anni, ma nessuno ha avuto il mio seguito. I miei tifosi sono unici: sempre così vicini, così tanti e in viaggio ovunque, per notti intere. E quando guardo negli occhi queste incredibili persone, so di aver condiviso con loro tante bellissime emozioni». l

© RIPRODUZIONE RISERVATA