Gazzetta di Reggio

FESTIVAL APERTO

"Enrico IV" lo fanno i matti

Daniele Valisena
"Enrico IV" lo fanno i matti

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REGGIO EMILIA. “Non si può mica credere a quello che dicono i pazzi! […]Perché trovarsi davanti a un pazzo sapete che significa? Trovarsi davanti a uno che vi scrolla dalle fondamenta tutto quanto avete costruito in voi, attorno a voi, la logica, la logica di tutte le vostre costruzioni!”.

Rimettere in gioco tutte le proprie certezze, avere il coraggio di far traballare l’edificio plurisecolare che regge noi e la società; questa la “pazza idea” che la pièce di Pirandello insinua nella mente degli spettatori e che la regista Andreina Garella ha seguito nel suo “Enrico IV”, lo spettacolo che domani, primo ottobre, andrà in scena (alle 20.30) alla Cavallerizza, nell’ambito di Festival Aperto.

Si tratterà di uno spettacolo dall’impatto e dall’autenticità ancora più forti del normale, perché in scena andranno proprio loro, i cosiddetti “matti”.

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«Il teatro è un mezzo per dar loro voce e farli protagonisti della loro storia individuale – spiega la regista Andreina Garella, triestina, fondatrice con Mario Fontanini della compagnia Festina Lente Teatro – ma anche di riconquistare una loro autonomia sociale. Il lavoro che c’è dietro allo spettacolo è molto impegnativo, ma ormai sono diversi anni che lo portiamo avanti. Dal punto di vista umano si tratta di un gruppo eccezionale, che permette di trasformare la fatica di vivere in poesia, fuori da tutti gli stereotipi».

La compagnia collabora dal 2003 con il dipartimento di Salute mentale di Reggio e Scandiano, usufruendo anche di alcuni contributi regionali.

«Sono attori fuori dal comune – prosegue la regista – ma ormai abbiamo una lunga esperienza alle spalle. Abbiamo fatto già diverse piccole tournée. Non sempre la compagnia è formata dalle stesse persone: si tratta di un gruppo aperto, con un nocciolo di circa 12 persone; alcuni attori che lavorano con me da sempre e altri che si sono uniti successivamente alla compagnia».

Il primo contatto con questa forma di teatro la regista lo ha avuto proprio nella natìa Trieste, negli anni ’70, sulla collina di San Giovanni dove aveva sede l’ospedale psichiatrico della città giuliana, “aperto” da Basaglia.

«Si trattava di uno spazio molto bello, donato alla città per svolgere ogni tipo di attività culturale, con l’unica direttiva di “lasciare le porte aperte”: lì ho iniziato a lavorare con questa particolare forma di teatro».

La scelta di mettere in scena un testo che è a tutti gli effetti una riflessione sul rapporto tra follia e quotidianità è in linea con le tematiche di cui da sempre Festina Lente si occupa.

«Un teatro che sceglie di essere responsabile, che fa drammaturgia con i racconti di donne migranti, con le visioni poetiche dei matti, con le storie di donne indigene, con i disagi, con i razzismi e le discriminazioni».

Così come già accaduto con autori del calibro di Shakespeare e Molière, ancora una volta la scelta dell’opera è nata «non tanto sugli autori, quanto sulla drammaturgia: adottiamo un tema e lavoriamo su quello e sull’autore, reinventando la drammaturgia attraverso la partecipazione attiva degli attori. In questo spettacolo si mostra la vera umanità, in contrasto con un mondo fatto di censura e apparenza».

Un teatro che certo ha in sé una componente “sociale”, ma che non per questo vuole rinunciare alla qualità.

«Lavoriamo sulla qualità artistica – conclude – non lo facciamo perché in questo modo la rappresentazione risulti più patetica. Sono abituata a lavorare sulla presenza scenica, la fisicità, la bellezza che nasce dal lavoro, il tutto conferendo una maggiore “verità” alla rappresentazione».