Gazzetta di Reggio

FILM

“Sabotatori”, vere vite di Resistenza

Adriano Arati
“Sabotatori”, vere vite di Resistenza

Al Rosebud l'anteprima nazionale del film. Guidetti: «Davanti alla telecamera attori che interpretano se stessi»

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REGGIO EMILIA. «Se non vogliamo che la Resistenza rimanga una reliquia storica, dobbiamo declinarla al presente. “Sabotatori” fa questo». Si parte da qui, per capire l’origine e il significato profondo del film che sarà proiettato in anteprima nazionale oggi al cinema Rosebud (ore 21), secondo uno dei due autori, il film-maker reggiano Nico Guidetti.

Oggi ha ancora senso parlare di Resistenza, e soprattutto di sabotatori?

«A mio avviso, se non vogliamo che la Resistenza rimanga una reliquia storica del ’900, relegata a un periodo circoscritto di qualche anno, e basta, credo sia assolutamente necessario rivitalizzarla e chiedersi, guardandosi attorno, se quell’esperienza possa essere in qualche modo declinata al presente. È un po’ quello che sta alla base dei Sentieri Partigiani e di un film come Sabotatori».

La parola sabotatori non fa paura?

«Abbiamo scelto questo titolo perché evoca sia un significato ristretto, da un punto di vista storico (i sabotatori erano infatti bande partigiane particolari con compiti ben precisi), sia un significato più ampio».

Per realizzare il film vi siete appoggiati al crowdfunding. Come mai?

«È stato un cammino lungo due anni. L’idea di fare un crowdfunding ci sembrava giusta per un progetto come questo. Per la natura collettiva dei Sentieri Partigiani, che ne stanno alla base».

Il crowdfunding è una strada obbligata, ormai?

«È un finanziamento dal basso che dà la possibilità di far entrare in circolo tra la gente i temi e i valori di un’opera molto tempo prima che questa esca. Negli ultimi anni è molto praticato, ma di per sé non è una novità».

Davvero?

«In Italia un film come Achtung Banditi di Carlo Lizzani, del 1951, fu finanziato in un modo analogo, anche se certamente, oggi, grazie al web, si può arrivare geograficamente più lontano; noi, ad esempio, abbiamo avuto contributi anche dalla Francia e dalla Germania».

Torniamo ai sabotatori. Cosa volevate raccontare parlando di sabotatori, di ieri e di oggi?

«L’esperienza dei Sentieri Partigiani mette fisicamente a confronto generazioni diverse: quella degli anziani partigiani che incontra quella dei loro nipoti, e in questo incontro si crea un dialogo, un confronto. È questo incontro che ci interessava raccontare, tra una generazione che sta pian piano scomparendo e un’altra che vive e opera pienamente nella società. Cercando, forse, in qualche modo, di migliorarla, come a suo tempo cercarono di fare i partigiani».

Come avete scelto i protagonisti?

«Il film è firmato da me e da Matthias Durchfeld, che è da vent’anni l’organizzatore dei Sentieri Partigiani e che quindi conosce molto bene sia gli anziani partigiani reggiani che ne sono i testimoni, sia i partecipanti, molti dei quali continuano a venire regolarmente, ogni anno».

Questo ha semplificato le cose?

«Una volta chiarito tra noi che profilo dovevano avere i protagonisti, grazie a Matthias non è stato difficile individuarli. Così abbiamo scelto uno di questi partigiani e due ragazzi che da anni partecipano ai sentieri, e abbiamo deciso di raccontarne le vite. C’è poi un quarto personaggio, che però ha un ruolo particolare che qui non svelo».

Perché avete scelto di fare un documentario?

«Sabotatori non è un reportage sui Sentieri partigiani. Troppo spesso si confonde il documentario con il reportage. Sabotatori è un film, con una sua storia e dei suoi protagonisti, con un inizio e una fine. L’unica cosa che lo rende un documentario è il fatto che gli eventi raccontati sono veri, accadono davanti ai nostri occhi, e i protagonisti non sono attori ma persone vere che “interpretano” se stesse».

Il film è figlio di anni di ricerca. Cosa vi hanno lasciato?

«A me ha lasciato un senso di speranza e maggior fiducia. Troppo spesso siamo chiusi nelle nostre vite e nei nostri problemi, bombardati da notizie cupe che provengono dal mondo. Il film è stata l’occasione di immergersi nelle vite di altri, venendo a contatto con esperienze di quotidiana resistenza che lavora giorno per giorno per spostare le cose».