Gazzetta di Reggio

TEATRO

Pienone alla Cavallerizza per "Una cena armena"

Giulia Bassi
Pienone alla Cavallerizza per "Una cena armena"

Lo spettacolo sta ottenendo un grande consenso di pubblico sia per il tema di stretta attualità sia per l'ottima riuscita della rappresentazione

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REGGIO EMILIA. Il tema è di stretta attualità, dato che si parla d’Armenia. Inoltre la commedia di Paola Ponti, con Danilo Nigrelli, (anche regista) e Rosa Diletta Rossi è bellissima.

Non per niente i biglietti sono già tutti esauriti. Lo spettacolo – martedì 21 aprile e mercoledì 22 aprile, alle 20.30, alla Cavallerizza a chiusura della Stagione di Prosa – nasce dall’incontro di Màlbeck Teatro e Sonya Orfalian, artista armena e studiosa del genocidio, perpetuato dal governo dei Giovani Turchi nel 1915 e che ha sterminato un milione e cinquecentomila armeni.

I protagonisti Nigrelli e la Rossi rispettivamente nei ruoli di Aram e Nina, interpretano un signore armeno e una ragazzina italiana, che incrociano le loro strade.

I due si muovono nello spazio come due bestie in gabbia che lentamente cominciano ad annusarsi, nascondendo un mistero, che sarà svelato solo alle prime luci dell’alba. Dialogano mentre a terra giacciono tantissimi abiti, uno accanto all’altro e dall’alto pendono corde e tiranti, tutti colorati.

Sospese ci sono anche quattro valigie – di boltanskiana memoria – una sola è aperta. Quella è la casa dell’uomo e la ragazza momentaneamente trova rifugio lì perché fuori impazza una tempesta di neve.

La pièce prende ispirazione dal volume di ricette di cucina intitolato, “La cucina d’Armenia. Viaggio nella cultura culinaria di un popolo”, di Sonya Orfalian; in questo senso si svolge il fitto dialogo fra i due: «La notte sogno di cucinare prelibatezze e di portarle nel deserto, dove facevano camminare i prigionieri», dice Aram, mentre prepara dei piatti immaginari per la sua ospite, racconta in continuazione vecchie ricette, come filastrocche perché non vadano dimenticate.

E così “Una cena armena” è la storia di due generazioni, antitetiche tra loro e insieme specchio della propria immagine, che hanno alla fine la forza di guardarsi in faccia, di affrontarsi e di passarsi il testimone. Tuttavia le ricette culinarie si amalgamano con un album dei ricordi costellato da una parola orrenda ma indispensabile da riportare alla luce: genocidio. Dirà Aram: «Non si può sempre sperare di vedere la fine... Non si ha il tempo. Ma il tempo, lui, non finisce».