Vattimo, laicità e resistenza: «Papa Francesco ci salverà»
Intervista al filosofo padre del “pensiero debole” domani sera a Cavriago ospite alla Festa dell’Unità: «Chi non si allinea è giudicato un terrorista»
CAVRIAGO. «Papa Francesco? Io ci credo. E’ una delle poche autorità che oggi potrebbe fare la rivoluzione. Perché per fare una rivoluzione serve un afflato religioso... Del resto si vede come sono andate a finire le sinistre cadute nella trappola della concretezza». A dirlo è Gianni Vattimo, filosofo post modernista e padre del “pensiero debole”, editorialista di Repubblica, che interverrà questa sera, giovedì 16 luglio, alla Festa dell’Unità di Cavriago per parlare del “valore resistente della laicità” ma anche di “cosa significhi oggi dirsi laici” e di “quali siano le applicazioni politiche di questo principio».
Ma scusi, non è per definizione dai dogmi della Chiesa che la laicità va difesa?
«Non più. O non solo. Oggi la laicità va difesa soprattutto contro il pensiero unico. Che etichetta come terrorista o eretico qualsiasi persona osi allontanarsi da quel pensiero. Fondato su valori condivisi e modi di vedere le cose dalle quali è vietato allontanarsi».
La Chiesa non è quindi il peggior nemico di chi si considera laico?
«Oggi, secondo me, il peggio non è rappresentato dalle Chiese. E se è vero che in Italia la lotta per la laicità deve continuare, i veri nemici sono il pensiero tecnico-scientifico e il capitalismo. Se vogliamo semplificare, perché la Grecia viene punita? Perché Tsipras ha osato esprimere un diverso punto di vista. Un comportamento non contemplato e ancora meno accettato. Per questo sono convinto sia necessario, nell’ambito della resistenza della laicità, difendere anche la politica contro la tecnica».
Sicuro che la nostra sia una politica da difendere?
«Ma io intendo dire che è soprattutto necessario difendere la politica dai politici. E lo dico, guardi bene, da politico trombato. Ormai si è fatta strada l’idea che i politici debbano essere innanzitutto dei tecnici e che basti quello. Ma è evidente che serve una prospettiva più ampia non esclusivamente legata all’immediato. Così non si va da nessuna parte».
Perché resistenza e laicità sono due termini così attuali?
«La resistenza oggi è più che mai necessaria, e questo non è un bel segnale. In una società libera, infatti, non ci sarebbe bisogno di resistere. E’ che siamo arrivati ad una situazione limite dove il controllo sociale è talmente forte da renderci sempre meno liberi».
Quando diceva che la Chiesa non rappresenta “il peggio”... questo ha a che fare con la svolta dettata dal nuovo pontefice?
«Premesso che mi sono sempre definito un catto-comunista, io in Papa Francesco credo. E arrivo a dire che il Papa dovrebbe fondare un’Internazionale comunista, anche se non sono sicuro che oggi avrebbe molto senso. La gente, in fondo, non ci crede più. Ma Papa Francesco ha dato segni chiari e tangibili di un cambiamento vero e per questo io voglio credergli».
Parliamo di temi concreti: unioni gay e bioetica. Anche su questi temi lei pensa che Papa Francesco abbia fatto passi avanti?
«Assolutamente sì. Per quanto riguarda i gay, è stato il primo Papa a dimostrarsi tollerante e a non usare i toni duri a cui eravamo abituati. Non è poco».
Intanto l’Italia è tra i pochi paesi in cui si sta ancora a discutere delle unioni gay. Così come i temi legati alla bioetica sono dal punto di vista legislativo fermi al palo. Ci sarà pure un motivo?
«Troppo facile puntare solo il dito contro la Chiesa. Il fatto è che abbiamo una classe politica debole. Incapace di prendere posizione su temi etici. Non per niente prima si parlava di politici-tecnici e della mancanza di una prospettiva più ampia... Resistiamo».
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