«Colleziono portaprofumi d'epoca da quando ho 14 anni, ognuno racconta una storia»
Monica Magnani ha iniziato a raccogliere “scent bottles” fin da ragazzina. «Ora ho in tutto 870 pezzi, di questi 255 sono andati in mostra a Palazzo Mocenigo a Venezia»
QUATTRO CASTELLA. Sono piccoli e preziosi. Veri e propri monili frutto del lavoro di maestri artigiani. Alcuni hanno anche uno spazio porta ditale incorporato, uno specchietto, una nicchia segreta, un porta filo e un mini cannocchiale annesso. Sono in vetro di murano, in porcellana o di metallo.
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Si tengono in borsetta, al collo o si infilano nella cintura. Raccontano un’epoca, un Paese, una storia. Sono i portaprofumi collezionati da Monica Magnani, formatrice specializzata in pedagogia clinica, che ci ha aperto le porte della sua casa a Puianello di Quattro Castella, per mostrarci queste meraviglie, definite “scent bottles”, grandi massimo dieci centimetri.
Ma quando è iniziato il suo amore per i profumi?
«Colleziono profumi da quando avevo 14 anni. Ho iniziato con i campioncini, come tutte le ragazzine, ma essendo nipote di un antiquario è stato naturale cercare pezzi più vecchi. Finché ho trovato il primo articolo veramente antico mentre facevo l’università a Parma e da lì è nato tutto. Non avrei mai pensato di arrivare a raccogliere così tanti flaconi, di diventare una delle principali esperte internazionali del settore e di essere chiamata a tenere conferenze sull’argomento in giro per il mondo».
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Quanti pezzi possiede?
«In tutto ho 870, di questi 255 li ho prestati a Palazzo Mocenigo a Venezia per la mostra sul profumo appena conclusa. Altri 40 andranno al nuovo museo del Delta Antico di Comacchio per una mostra sul profumo e altrettanti sempre a Venezia per una esposizione dedicata ai viaggi».
Oggi importanti stilisti li collezionano.
«È diventata un po’ una moda, ma per me è diverso. Accompagnano da sempre la mia vita. Ho iniziato per caso: mio nonno era antiquario, mia madre e mia zia avevano un’importante sartoria a Reggio. L’amore per il bello era di casa e, per me, si è tramutato in amore per i profumi».
Ogni flacone racchiude in sé qualcosa del suo tempo...
«Assolutamente sì. I pezzi delle cosiddette arti decorative chiaramente non sono paragonabili ai grandi capolavori ma sono portatori degli stilemi del periodo in cui sono stati prodotti. Sono come navicelle temporali e mi piacciono perché hanno a che fare con l’essere donna, con la seduzione e con la storia sociale. All’inizio erano oggetti per pochi privilegiati poi col passare degli anni sono diventati alla portata di tutti, fino a quando si è arrivati al profumo commerciale».
Qual è il suo preferito?
«Non chiedetemelo. Quello che vi posso dire è che sono particolarmente legata al primo portaprofumo antico che acquistai quando avevo 21 anni. Un ovetto d’argento che si è rivelato essere un “pomander”, utilizzato quando il profumo aveva anche una valenza terapeutica per tenere lontano i miasmi e la peste, e ha incorporato un piccolo porta veleno. Ma quando si fa una collezione si va sempre a caccia di ciò che manca e questo comporta che si arrivi ad amare l’ultimo pezzo che si riesce a trovare».
I flaconi più originali?
«Sicuramente il flacone-cannocchiale dei primi dell’Ottocento, prodotto da un argentiere londinese: l’ho cercato per tanto tempo. Amo molto anche i “Franchini-Bigaglia” che prendono il nome dai mastri vetrai veneziani che li idearono intorno al 1860 e che ritraggono i personaggi del Risorgimento. Alcuni sono pegni d’amore: ne ho uno con una miniatura di un uomo davanti a un castello bianco sbarrato con dietro scritto la parola “speranza”. Poi ci sono i flaconi souvenir e le “chatelaines”: più oggetti appesi a una catena. Ad esempio ne ho una borbonica pensata per il ballo che ha con sé carnet, matita, porta profumo e specchio. L’ho trovato a Bologna in Montagnola da un signore che vendeva pezzi di ricambi di bici».
Quindi non sempre li acquista da antiquari?
«Ne ho comprati su internet, alle aste, ai mercatini ma anche in luoghi improbabili».
Vengono realizzati ancora oggi questi flaconi-gioiello?
«Raramente, ma alcuni sono vere chicche: ne ho ad esempio uno con il ritratto di Mao Tse-Tung. Poi ci sono grandi case di profumeria come Gucci o grandi argentieri tipo Tiffany che continuano a produrre portaprofumi per le élite. E c’è chi se li fa personalizzare».
Un sogno nel cassetto?
«Si è già avverato con l’esposizione a Venezia “Collezione Magnani. I flaconi”. È il più importante museo della storia del costume italiano e il fatto che abbia accolto parte della mia collezione mi ha reso felice... Fra l’altro è partita una collaborazione importante. Certo è che mi piacerebbe fare una mostra a Reggio, la mia città». —
