Gazzetta di Reggio

Burioni, il virologo paladino dei vaccini, a San Martino in Rio: «Io sono quello che ho letto e ho ascoltato»

Burioni, il virologo paladino dei vaccini, a San Martino in Rio: «Io sono quello che ho letto e ho ascoltato»

Burioni sarà mercoledì 24 luglio alla Rocca Estense di San Martino in Rio per la nuova tappa di “Autori in prestito”, la rassegna Arci curata da Paolo Nori.

21 luglio 2019
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SAN MARTINO IN RIO. «Io sono quello che ho letto e che ho ascoltato». Rivendica orgoglioso la propria formazione e le proprie passioni Roberto Burioni, il virologo diventato in questi ultimi cinque anni una celebrità nazionale per le sue prese di posizione contro gli approcci non scientifici alla medicina.

Burioni sarà mercoledì 24 luglio alla Rocca Estense di San Martino in Rio per la nuova tappa di “Autori in prestito”, la rassegna Arci curata da Paolo Nori. Professore ordinario di Microbiologia e virologia alla San Raffaele di Milano, i suoi libri “Il vaccino non è un’opinione” e “La congiura dei Somari. Perché la scienza non può essere democratica” hanno fatto il pieno di premi, trasformandolo in un personaggio mediatico molto attivo anche sui social, dove spesso risponde direttamente alle critiche. A San Martino, come ogni “autore in prestito”, parlerà delle sue passioni letterarie, del suo passato da pianista quasi mancato e della musica che lo ispira. E lo farà in una zona a lui ben nota:

Burioni è spesso a Reggio Emilia dallo zio Giancarlo, ingegnere, che definisce «il mio fratello maggiore». Niente discorsi sui vaccini, mercoledì?

«Parlerò delle mie passioni, e d’altronde quello è un tema più culturale che scientifico». Che intende? «La scienza non ha dubbi sui vaccini, è la gente che li rifiuta, ed è interessante capire cosa possiamo fare noi in questo senso. E in questo ci aiutano più quello che abbiamo letto e ascoltato, le riflessioni con gli amici».

Un tema, quello del confronto, che la riguarda da vicino, no?

«Sì. E questa mia attività inaspettata degli ultimi tre anni non me l’hanno insegnata alla facoltà di Medicina».

Aiutano più libri e dischi?

«Quando ha capito che a Milano sarei rimasto a lungo, dopo esserci arrivato per lavoro, finalmente ho comprato casa. Ho “fatto” la mia casa, l’ho fatta progettare e all’architetto ho detto “voglio che la mia casa sia fatta dei miei libri e dei mie dischi”».

Priorità chiare.

«Io sono quello che ho letto, sono quello che ho ascoltato. Sono frutto delle chiacchiere che ho fatto con gli amici, su argomenti anche futili».

Che poi, spesso, futili non sono, no?

«Ce lo insegna la letteratura, che quello che non sembra importante invece lo è».

E allora, di cosa parlerà?

«Parlerò molto di libri ma molto anche di musica, la mia grande passione. Io volevo fare il conservatorio, poi mio padre mi chiese se ero sicuro di avere il talento per fare il concertista».

Com’è finita?

«Ho riflettuto, aveva ragione e ho fatto bene a seguire un’altra strada. Ho la passione che mi ha comunque permesso di avere la musica a fianco per tutta la mia vita, ascoltata e suonata. Sono un grande appassionato di jazz, a cui mi sono avvicinato suonandolo».

Alle passioni dovremmo aggiungere anche la scrittura, giusto?

«È arrivato tutto all’improvviso, nel 2015, a 52 anni. E io non avevo mai avuto l’intenzione di scrivere, non avevo il classico manoscritto nel cassetto. Ma forse ho un po’ di talento nel farlo, quantomeno mi diverto».

Non è poco.

«Anzi. Difatti l’unico consiglio che darei per chi inizia è di fare come ho fatto io, involontariamente, partendo dalla passione come lettore».

Nel frattempo ci ha preso gusto?

«Io volevo fare un solo libro, le reazioni erano ottime e volevo chiudere così. Poi è arrivato il secondo volume, scritto rapidamente».

E ora?

«Ora ho il vizio, a breve arriverà un nuovo libro sull’omeopatia».

Altro tema spinoso.

«Il problema dei rimedi miracolosi è nella nostra storia, nella musica, nella letteratura, dal Conte di Montecristo all’Elisir d’amore. Chi vuole capire bene l’omeopatia può leggere “Madame Bovary”, la storia della moglie di un medico dell’800. Ci si rende conto quanto potesse poco fare la medicina».

Non è passato poi molto tempo, da quel periodo?

«Cento anni fa esatti, un medico che diagnosticava una polmonite o un infarto non poteva fare nulla dopo avere diagnosticato. Poteva solo accompagnare verso guarigione o verso morte, e con la polmonite parliamo del 30% casi».

Oggi?

«Oggi un medico può fare tante cose, l’aspettativa di vita è passata dai 40 anni di inizio ‘900 agli oltre 80 anni di oggi. In questi giorni abbiamo salutato due scrittori, Camilleri e De Crescenzo, morti ben oltre i 90 anni. E sino alla fine ci hanno regalato belle opere. Qualcosa di buono si è fatto».

Tutto perfetto, allora?

«Con lo sviluppo della scienza, si è perso il rapporto medico paziente. Oggi si deve andare dagli specialisti, si crea un distacco e in questo spazio si inseriscono praticoni e la medicina alternativa».

Oggi forse contano più gli esami che il rapporto col paziente?

«Apparentemente sì. Ma se poi la persona non si fida e va altrove, allora si è perso. La visita con un medico omeopatico dura più di un’ora, in media. Con uno specialista spesso parliamo di pochi minuti».

Ci vorrebbe anche altro?

«La facoltà di medicina ci insegna a riconoscere, curare e prevenire. Il medico è però una professione particolare, malattia non è qualcosa di isolato, è un uomo malato, che soffre, che ha paura».

Allora aiutano davvero più i libri e i dischi?

«Il bravo medico non può non essere in grado di avere una simpatia, nel senso etimologico del termine. Deve avere un sentire comune con il paziente. Tutto questo non lo si impara nelle aule dell’università, lo si impara, prima, durante e dopo».