Gazzetta di Reggio

Il collezionista Giacomo Riva dona alla Fondazione Manodori 176 opere di Alberto Manfredi

Carlotta Curti
Il collezionista Giacomo Riva dona alla Fondazione Manodori 176 opere di Alberto Manfredi

Dipinti e incisioni, raccolti in oltre cinquant’anni, esposti in modo permanente a Palazzo da Mosto  

03 dicembre 2019
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Entrare in casa Riva è come entrare in un museo. Solo che in un museo troviamo un certo numero di dipinti disposti su ampie pareti. Qui invece le opere, quasi esclusivamente di Alberto Manfredi, sono diventate le pareti, testimonianza di una passione esclusiva che ha attraversato tutta la vita di Giacomo Riva. Ogni muro è tappezzato di quadri, giusto pochi centimetri rimangono scoperti, compresi quelli del bagno e della cucina. “Il collezionista vive nell’arte” diceva Walter Benjam e mai espressione fu presa più alla lettera. Nella casa di via del Guazzatoio ci accoglie la moglie del collezionista, Annamaria Riva: occhi che brillano e un sorriso da ragazzina. Ci fa fare il giro della casa, piccola ed elegante, che si affaccia su piazza Fontanesi, «l’unica piazza parigina di Reggio». È un vero privilegio poter essere accolti in questa dimora così speciale, in un palazzo storico che è collocato nel cuore della nostra città ma che allo stesso tempo sarebbe più consono trovare nella capitale francese. All’incontro ci sono il presidente della Fondazione Manodori Romano Sassatelli il critico d’arte Sandro Parmiggiani, l’editore Fabrizio dall’Aglio, Narciso Lusoli del Credem che ha partecipato all’allestimento della mostra, e altri amici.

Il FUTURO

Come tutti i collezionisti veri, Riva si è posto il problema di fare in modo che i quadri continuino a essere visibili e apprezzati da un ampio pubblico. Ha quindi donato, in accordo con la moglie Annamaria, una selezione di 176 pezzi di Manfredi (Riva ne possiede 370) alla Fondazione Manodori. «Dove sarebbe finita la mia collezione a cui ho lavorato faticosamente per quasi 50 anni andando a scovare opere in lungo e in largo per l’Italia? Facile è comprare dei quadri ma creare una collezione no perché si tratta di un progetto ben preciso per il quale bisogna attingere solo il meglio di una certa produzione».

Una tale passione che nel tempo i Manfredi hanno cominciato a cacciar via tutti gli altri artisti che Riva aveva cominciato a collezionare. Ora infatti restano un Guttuso, un De Pisis, qualche Alberoni. Sandro Parmiggiani, che ha curato il catalogo, ha sottolineato la valenza della donazione, che è arricchimento dell’offerta culturale della città e anche un modo di salvare le opere dall’oblio.

L’amicizia

Spiega Giacomo Riva: «Posso dire di avere goduto della benevolenza di Alberto Manfredi: mi faceva scegliere le opere spesso in una sorta di rito che si consumava ad ogni fine mese, quando lui metteva, uno accostato all’altro su una sorta di cavalletto, i cinque o sei dipinti realizzati in quel mese e cominciavamo a leggerli assieme. Per dieci anni non ho osato avanzare critiche, finché ruppi un giorno il ghiaccio e gli dissi che un certo quadro era “molto brutto”. A volte mi fuorviava nella lettura e nel giudizio, ma lo rispettava. In sessant’anni di frequentazione della pittura di Manfredi, credo di avere visto 1000-1200 dipinti suoi. Penso che mi abbia ceduto molti dei suoi quadri più belli perché sapeva che non li avrei venduti».

L’amicizia che li legava era profondissima, specie negli ultimi anni, ma i due fino alla fine hanno continuato a darsi del lei. E quando Riva parla di Manfredi si illumina:«Era un uomo di straordinaria cultura... con lui era difficile intavolare una discussione perché si rischiava di non essere all’altezza del discorso». —