Ligabue in golena: una vita al limite. «Due casotti i suoi rifugi preferiti»
La testimonianza di Orazio Simonazzi: «Viveva e dipingeva a stretto contatto con gli animali»
27 febbraio 2022 Tiziano Soresina
GUALTIERI Espulso dalla Svizzera ed approdato a Gualtieri il 9 agosto 1919, per Antonio Ligabue – che già disegnava occasionalmente su fogli di carta – si apriva una difficile integrazione nella Bassa reggiana, trovando occupazione come scariolante sugli argini della nuova bonifica Bentivoglio. Ma pian piano cercherà rifugio nelle aree a ridosso del Po, fra pioppi e salici.
Un destino inevitabile per quell’omino pieno di manie ed irascibile, che faticava a comunicare con il suo italiano stentato e gutturale, troppo gracile per quelle enormi fatiche e spesso deriso dai compagni di lavoro. Siamo sul finire degli anni Venti quando per il “tedesco” o in dialetto al mat – come veniva chiamato in paese – l’isolamento nei boschi del Grande Fiume diverrà a lungo il suo vivere quotidiano.
Un’esistenza al limite che nel rigidissimo inverno del 1928 viene narrata dall’affermato pittore-scultore Marino Mazzacurati (fondatore della “Scuola romana”) che incontra Ligabue nella golena gualtierese: «Non so perché abbia cominciato a parlare con me – ricordò l’artista – ma fu una conversazione prudente, a molti metri di distanza per aver modo di studiarmi. Io, d’altro canto, non riuscivo a capire da dove spuntasse quell’incredibile personaggio infilato in un pastrano da carabiniere rigonfio di fieno e legato tutt’intorno con delle corde, che attizzava il fuoco sotto un rudimentale fornello di mattoni. In una lingua incomprensibile, che era un misto di tedesco e di dialetto emiliano, mi spiegò che stava preparando la sua cena: un gatto lessato in un bussolotto di conserva. Si preoccupò subito di dirmi che non l’aveva ammazzato lui, che amava molto gli animali e sarebbe morto di famepiuttosto che ucciderne uno».
Un incontro poi sfociato in una frequentazione che farà decollare la vena artistica di Toni, anche se il suo rifugiarsi fra le terre del Po proseguirà ancora per diverso tempo. «Un periodo imprecisato, in cui Ligabue era privo di tutto: lavoro, amore, casa, soldi, amici o conoscenti. Non gli era rimasto – commenta Giuseppe Caleffi, fondatore e direttore della Casa Museo “Antonio Ligabue” di Gualtieri – che la libertà di vivere in golena. Un nomadismo non nuovo per lui, già abbracciato in Svizzera. Nella Bassa diventa l’uomo dei boschi, inascoltato e deriso. Capace però di parlare con i suoi quadri. Gli verrà naturale usare come supporto principale della sua arte gli “amici” animali, che diventano simboli della crudeltà del vivere».
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