Claudio Parmiggiani nominato artista del 2023
L’importante riconoscimento all’artista luzzarese è arrivato da “Il Giornale dell’Arte”. La Collezione Maramotti gli riserva una sala che ospita “Caspar David Friedrich”
Reggio Emilia «Questo lavoro non significa niente ma questo niente significa tutto», scriveva Claudio Parmiggiani in Stella Sangue Spirito. È una lirica, densa di significato, quella creata da questo immenso artista visivo e visionario, una delle figure principali dell'arte italiana del secondo dopoguerra che “Il Giornale dell’Arte” ha eletto artista del 2023. Nato a Luzzara. Il “nostro” Claudio Parmiggiani il 1° marzo compirà 80 anni. Non c’è quindi occasione più ghiotta per tratteggiare un ricordo di una figura impossibile da cogliere in modo completo per mille motivi, innanzi tutto perché - come qualcuno ha scritto - è «un artista raro» ma anche perché l’interpretazione delle sue opere «presuppone anche la conoscenza della letteratura e della filosofia… le sue espressioni figurative sono commenti alle avventure dello spirito europeo». «Il metodo Parmiggiani consiste nel legare tutto con una nuova idea ricca di cultura, metaforica e ingegnosa, così come produrre un cosmo di misteri iconografici e di incantesimo estetico» scrive Pier Giovanni Castagnoli nell’introduzione di un catalogo. Questo gioco dei significati lo possiamo applicare a uno dei suoi capolavori racchiuso nella Collezione Maramotti, dove gli è riservata un’intera sala a doppia altezza: Caspar David Friedrich (1989) è «una barca fatta di nulla e di oscurità, pura presenza metafisica» (Vega Tescari) che si caratterizza per contenere tre tele di diversa altezza che fungono da vele. Nella stupefacente bellezza di quest’opera che tutti dovrebbero vedere e conoscere, sta una forza che cattura in modo irresistibile: perché parla in modo diretto. Secondo l’artista «tutte le cose come pietre alberi stelle hanno occhi e voce umana». Guardandola da sotto o dall’alto, è facile andare “oltre l’immagine” e i pensieri che ci raggiungono potrebbero essere infiniti: da quelli inerenti al senso di un viaggio - reale o simbolico (il transito della vita umana sulla terra) - per arrivare alla barca dei migranti, diventando un eloquente simbolo anche di quelle tragedie). Ma può essere anche la barca dell’Isola dei morti di Böcklin che si è staccata dalla tela. L’opera fa viaggiare perché è viva, in quanto si tratta di un oggetto rinvenuto dal fiume Po a cui l’artista ha dato una nuova esistenza. Inoltre, colpisce la sua forma semplice ma armoniosa e il profondo nero che la ricopre. «Uscendo da un negozio di colori con un barattolo di colore nero tra le mani – scrive Parmiggiani – penso a questo come se si trattasse della mia reazione quotidiana di disperazione». Centrale nella sua poetica è il tempo che «lascia il suo segno»: un elemento, insieme alle ombre, all’interno del quale si ritrovano le sue opere. Ad esempio, l’Autoritratto del 1979 (Collezione Maramotti) è la fotografia di una figura vuota senza tratti distintivi ma proprio in essa si trova quel silenzio espressione al “niente”. Eppure, pochi artisti come Parmiggiani posseggono una cultura che esula dalle coordinate occidentali per risalire alle origini: all’esoterismo dei pitagorici, quando la filosofia era mito e mistero, ma anche all’alchimia, la cui natura esige segreto ed interiorità. «In questo non è molto diversa dall’arte – scrive l’artista – segretezza e interiorità presuppongono anche tenere a distanza, una distanza che una volta conquistata va difesa a tutti i costi per poter sfuggire almeno un istante alla mano invadente e violenta della moda e della superficialità». È facile con questi pensieri proiettarsi oltre il tempo e lo spazio, e trovare ispirazione poiché «è nella segretezza e nel mistero la sola condizione indispensabile perché sopravviva un minimo di verità, ed urge dimostrare che è più importante nascondere che mostrare». Da qui il senso delle Delocazioni (1970) opere di ombre e impronte realizzate con fuoco, polvere e fumo: una radicale riflessione sul tema dell'assenza. «Il procedimento è dei più semplici, asportato il quadro, resta la rimozione – scrive Paolo Fossati – ciò che riempie il quadro nella sua presenza è rilevabile una volta assente».