“Vladimiro, Estragone e i loro cugini” in perenne e inesorabile attesa
Garella con il suo Festina Lente Teatro sabato e domenica all’Ariosto
Reggio Emilia Ritorna Andreina Garella con il suo Festina Lente Teatro, associazione culturale nata nel 1997 dalla collaborazione con Mario Fontanini per creare un teatro che fa drammaturgia con i racconti di donne migranti, con le visioni poetiche dei matti, con le storie di donne indigene, con i disagi, con i razzismi e le discriminazioni. Piccole fessure attraverso le quali contaminare, emozionare, far vacillare.
La Garella inizia a fare teatro a Trieste negli anni ’70 ed esattamente a San Giovanni, su quella collina ex ospedale psichiatrico di Trieste, dove Basaglia ha realizzato forse l'unica vera rivoluzione dei nostri tempi. In quel luogo ha sede la sua prima compagnia teatrale.
Ogni anno in collaborazione con I Teatri, la Regione Emilia-Romagna Ausl Dipartimento Attività Integrata Salute Mentale realizza uno spettacolo programmato che quest’anno è “Vladimiro, Estragone e i loro cugini” liberamente tratto da “Aspettando Godot” di Samuel Beckett e sarà in scena alla Cavallerizza sabato alle 20.30 e domenica alle 15.30: regia di Andreina Garella, ambientazione di Mario Fontanini, musiche di scena a cura di Ailem Carvajal.
In scena un gruppo di attori fuori dagli schemi, con fragilità psichiche - composto da Fabio Barbieri, Stefano Barbieri, Antonio Cirillo, Giovanni Coli, Flavio Ferrari, Stefania Ferrari, Gaia Gambarelli, Giampaolo Gualtieri, Caterina Iembo, Patrizia Marcuccio, Stefano Marzi, Lucio Pederzoli, Arianna Stanzani, Massimo Torri - capaci di trasformare la fatica del vivere in poesia, che con sensibilità e creatività, tra verità e finzione, contendono lo spazio scenico alle convenzioni sociali, prendono parola e con i loro corpi danno spazio ad altri modi di essere liberandosi da stereotipi e luoghi comuni. Il teatro incontra “l’altro”, ricorda che è possibile vivere in un altro modo e che ci sono altre possibilità di stare al mondo.
Protagonista dello spettacolo è l’attesa.
In attesa di un possibile cambiamento o di una trasformazione, in scena i personaggi, che vivono fuori dal mondo, aspettano. Aspettano, forse, che ci sia più tempo o il tempo del gioco e della festa; si vogliono abbandonare all’indugio e riappropriare della stanchezza, della noia.
Abituati ad un quieto non fare, capaci di vedere e di stupirsi delle meraviglie del mondo, stanchi di inseguire sempre traguardi, mete, scopi, spesso fonti di dolore, incapaci di agire. “Andiamo”, ripetono, ma non si muovono. Aspettano di vedere le cose in modo nuovo, di ritrovare l’essenza della vita umana.
Il trascorrere del tempo è il loro passatempo, sempre uguale e inesorabilmente vuoto; basta una foglia che cade per attizzare il fervore di un’azione, di un fare che determina il contatto con chi non si fa vedere e non arriva e ne stimola la descrizione, anche la più assurda ma pur sempre veritiera.
A due a due si danno appuntamento su una panchina, a due a due si confrontano, a due a due se ne vanno sostituiti da altri due e ancora da altri due che rinnovano il rito dell'attesa a loro modo, senza strafare, ragionano, non si dileguano e gentilmente immaginano o inventano un protagonista che non arriva.l
G.B.
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