Gazzetta di Reggio

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L’arte intensa di Ligabue e Van Gogh: vite fragili e autoritratti a confronto

Tiziano Soresina
L’arte intensa di Ligabue e Van Gogh: vite fragili e autoritratti a confronto

A Gualtieri il dialogo fra le due opere è un’intuizione del gallerista Francesco Negri

07 marzo 2023
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Gualtieri Li unisce la voglia di rivalsa esistenziale dentro un destino che non fu certo tenero con loro.

Stiamo parlando di Antonio Ligabue e Van Gogh perché questi due pittori espressionisti ora “dialogano” sino al 12 marzo attraverso altrettanti autoritratti all’interno della mostra “Van Gogh. Capolavori dal Kroller-Muller Museum” che è in corso a Roma nel Palazzo Bonaparte.

L’idea di questo inedito confronto è made in Gualtieri, visto che c’è stato lo zampino del gallerista Francesco Negri che ha voluto così onorare il padre Sergio Negri, il maggior esperto di Ligabue. Un sodalizio – padre e figlio – da cui non si può esimere sul piano dell’autenticità, quando si affrontano le creazioni di Toni nei tre classici periodi (1927-39; 1939-52; 1952-62) in cui viene ripartita la sua produzione.

Fra l’altro proprio Sergio Negri si è soffermato su questa prolungata narrazione artistica di sé stessi che accomuna i due pittori. Riflessione che troviamo nel catalogo generale dei dipinti di Ligabue, proposto oltre vent’anni fa ed edito da Electa: «Dialoghi o conflitti fra la coscienza e la percezione visiva del proprio volto – scrive Sergio Negri – ed è proprio in questo senso che alcuni dei grandi espressionisti, oltre a Van Gogh, hanno analizzato se stessi davanti a queste superfici dipingendo decine e decine di autoritratti, con l’intento di riversare in essi le angosce e i tormenti che li affliggevano».

Ma quali sono le due opere messe a contatto? Nel caso di Ligabue si tratta di “Autoritratto con berretto da motociclista” (un quadro ad olio su faesite datato 1954-55). Mentre di Van Gogh è stato scelto un autoritratto che l’artista fece a Parigi fra l’aprile ed il giugno 1887 (anche in questo caso è un olio, ma su cartone). Vi sono altre implicazioni suggestive in quest’idea che affascina il pubblico della mostra romana. E riferendoci a Ligabue è proprio la Capitale, visto che ebbe un ruolo di consacrazione per la sua arte: una creatività a tinte forti, spesso rabbiose, che si svelò alla critica nel 1961, con la mostra alla Barcaccia di Roma. Un riscatto notevole per il pittore che, dopo tanti anni di estrema povertà, conobbe in poco tempo la notorietà, l’attenzione di noti critici d’arte e di cronisti di varie testate, come avvenne, durante l’esposizione alla Barcaccia con l’articolo del 12 marzo 1961 pubblicato su “Epoca” e firmato dalla giornalista, saggista e scrittrice Grazia Livi. Profetico il titolo del servizio: “Antonio Ligabue, il Van Gogh con la moto rossa”.

Non ultimo, l’idea di Francesco Negri vuole servire da volano per la rassegna “Antonio Ligabue” che verrà inaugurata il 25 marzo al Castello aragonese di Conversano (Bari), rimanendo aperta sino all’8 ottobre. Oltre 60 opere proporranno un viaggio nella vita e nella produzione dell’artista, il tutto arricchito da alcuni documenti, dalla proiezione del film documentario di Raffaele Andreassi del 1961 e da diverse fotografie risalenti agli anni Cinquanta. In mostra tele che sanno di emarginazione, le inconfondibili pennellate nervose, il rapporto con la natura e gli immancabili autoritratti. Una vita fragile, come quella di Van Gogh.l