Gazzetta di Reggio

Il gabbiano fa tappa all’Ariosto un dramma delle illusioni perdute

Il gabbiano fa tappa all’Ariosto un dramma delle illusioni perdute

Cechov va in scena, da stasera a domenica, con la regia di Leonardo Lidi 

31 marzo 2023
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Reggio Emilia “Il gabbiano” di Anton Cechov, in scena questa sera (ore 20.30) al teatro Ariosto (repliche domani alle 20.30 e domenica alle 15.30) vede il regista Leonardo Lidi, per la prima volta, accostarsi ad un testo di Anton Cechov, parte di una trilogia destinata a completarsi con “Zio Vanja” e “Il giardino dei ciliegi”. Sul palco Giordano Agrusta, Maurizio Cardillo, Ilaria Falini, Christian La Rosa, Angela Malfitano, Francesca Mazza, Orietta Notari, Tino Rossi, Massimiliano Speziani, Giuliana Vigogna

Un dramma delle illusioni perdute che è lo specchio del disagio esistenziale di un’umanità sospesa tra arte e vita, in bilico sul precipizio delle grandi tragedie del Novecento.

«Tre case, o forse la stessa – spiega Leonardo Lidi, che ha saputo imporsi in questi anni sulla scena teatrale italiana con versioni potenti ed originali di grandi autori classici –, tre famiglie, o forse la stessa. E mentre ci sforziamo di comprendere la forma giusta per parlare al nostro presente tormentato, e mentre cerchiamo di vendere la casa di Vanja o di salvare il nostro storico giardino, noi aspettiamo nella speranza di incontrare la vita attraverso l’amore. Attraverso il teatro. In attesa di un bacio».

Scritto da Anton Cechov nel 1895, per sua stessa ammissione «andando contro le convenzioni teatrali in un modo terribile», “Il gabbiano” fu accolto, alla sua prima rappresentazione, da un fiasco clamoroso. La poesia racchiusa nel testo, quel suo mondo di amori non corrisposti e illusioni perdute non vennero compresi. Tanto che Cechov pensò seriamente di abbandonare per sempre la scrittura teatrale. Fortunatamente, già dalle repliche successive, le reazioni del pubblico furono via via più favorevoli e un vero e proprio trionfo salutò, due anni più tardi, la produzione diretta da Stanislavskij.

«In scena – prosegue Leonardo Lidi – la drammaturgia dell’amore e dell’assenza di esso. La relazione tra forma e arte. Tra loro e noi. Il pubblico e il suo eterno specchio. Individui mai abbandonati, indecisi sull’azione, privi di muscoli, fagocitati dalla paura delle domande e dalla semplicità delle risposte. I ricordi e la nostalgia, l’infanzia, l’incontro che ci ha fatto male e quello che ci ha cambiato la vita. O fatto sorridere. O fatto piangere. O tutte e due insieme. Ecco come Cechov ha superato il suo tempo, ecco come utilizzare un testo per arrivare alla vita».

Leonardo Lidi (1988), si diploma alla Scuola del Teatro Stabile di Torino nel 2012. Nel suo percorso alterna recitazione e regia teatrale. In questi primi dieci anni di lavoro registico spicca per capacità e produttività, vincendo a soli 32 anni il premio della critica teatrale italiana. Dal settembre del 2021 è coordinatore didattico della scuola del Teatro Stabile di Torino e dal 2022 direttore artistico del Festival di San Ginesio. Tra gli spettacoli da lui diretti, “Spettri” di Ibsen (Biennale Venezia 2018), “Zoo di Vetro” di Williams, “Casa di Bernarda Alba” di Lorca, “La città morta” di D’Annunzio (Biennale Venezia 2020), “La signorina Giulia” di Strindberg (Festival dei Due Mondi 2021) e “Il Misantropo” di Molière.l

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