Gazzetta di Reggio

Il teatro dialettale è in crisi? Fnil Bus Theater ha vinto la sfida

Chiara Cabassa
Il teatro dialettale è in crisi? Fnil Bus Theater ha vinto la sfida

Damiano Scalabrini, alla guida della compagnia, organizza la stagione a Praticello: «Noi abbiamo puntato sul rilancio realizzando diversi sold out e 2mila presenze»

17 aprile 2023
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Gattatico Il teatro dialettale è in crisi? È solo per anziani? È di serie B? A dimostrare il contrario sono le compagnie che, puntualmente, dimostrano non solo di saper attrarre spettatori ma anche di avere ben chiara la rotta da seguire. A partire da Fnil Bus Theater che da tempo, guidata da Damiano Scalabrini, organizza la storica rassegna al Cinema Teatro Polivalente di Praticello di Gattatico che anche quest’anno ha chiuso la stagione con una sfilza di sold out. E con Scalabrini abbiamo cercato di capire come sta il teatro dialettale.

Scalabrini, a chi sostiene che il teatro dialettale non parla più a nessuno, lei cosa risponde?

«Noi di Fnil Bus Theater abbiamo voluto sfatare questo mito già dal 2010, con l’inizio della produzione di commedie dialettali. Tredici anni fa infatti, si iniziava già a dire che il teatro dialettale stava finendo. Dobbiamo ammettere che il covid ha contribuito a velocizzare la fine di tante belle realtà, alcuni teatri e spazi di cultura che facevano prosa dialettale hanno chiuso, altri sono in difficoltà per la mancanza di volontari, gli organizzatori spesso in età avanzata cominciano ad essere stanchi, a corto di entusiasmo e di idee, altri soffrono per la mancanza di pubblico e di finanziamenti… Bisogna fare qualcosa. E noi lo abbiamo fatto».

Come vi siete mossi per sfatare il mito?

«Essendo da anni gli organizzatori della storica rassegna di teatro dialettale al Polivalente di Praticello, abbiamo voluto dare una gran accelerata per riprendere i ritmi di prima, ma soprattutto il pubblico di prima che aveva smesso di venire. Tutta l’estate 2022 l’abbiamo passata a fare volantinaggio nelle feste, dopo i nostri spettacoli, promuovendo la nostra rassegna, dicendo “venite nel nostro teatro, se stasera avete riso con noi, vi potrete divertire con altre compagnie che ci saranno in programma”. Avremmo potuto promuovere solo noi stessi, ma abbiamo preferito pensare al bene comune del dialettale. Poi ci siamo detti: fuori si va a recitare poco, proviamo a fare qualche spettacolo nostro in più in casa, esageriamo, ce n’è bisogno, allora abbiamo prodotto tre spettacoli nostri, come una piccola tournée nel nostro teatro, oltre alle repliche negli altri teatri e circoli, come facevamo di solito».

E da qui è iniziato il rilancio.

«In effetti con questo spirito abbiamo realizzato sei sold out con i nostri tre spettacoli, due repliche per ognuno. In tutta questa operazione di rilancio, il vero protagonista è stato il pubblico proveniente da tutta la provincia e poiché l’entusiasmo è contagioso, questi sold out hanno portato un aumento di pubblico anche alle altre compagnie che si sono esibite nel nostro teatro. Alcune di loro hanno riempito, altre no ma hanno comunque avuto una sala con un minimo di 160 spettatori ad applaudirli, per un totale di quasi duemila presenze in stagione».

Quali sono stati i vostri spettacoli vincenti?

«Siamo partiti da “Me marì l’è un ciclo sonè”, una commedia in due atti di mia creazione. A seguire “Fnil Bus in Turnè”: proprio così si scrive, “in turnè” in dialetto perché a “si ciamè alora a som turnè”, in cabaret dialettale in stile varietà, in cui si sono esibiti anche i giovani del Fnil Bus Young, aspiranti attori di teatro comico che stanno crescendo nei laboratori di Fnil Bus Theater. Per finire siamo andati sul sicuro rivisitando una commedia cavallo di battaglia di Fnil Bus: “Un Sasso rosso d’Alsazia”, due atti scritti da Antonio Guidetti, interpretati dalla nostra compagnia. Per non essere noiosi e scontati, in tre mesi abbiamo fatto tre spettacoli totalmente diversi, ma con lo stesso gruppo di lavoro e lo stesso spirito».

Che rapporti avete con le altre compagnie?

«Con alcune compagnie ci aiutiamo, ci supportiamo e condividiamo molte idee. Il pubblico è molto esigente oggi, soprattutto il pubblico nuovo che si sta approcciando adesso al teatro dialettale, esige tanta comicità e professionalità: tecniche di recitazione, temi freschi e attuali, regia professionale, ma soprattutto il linguaggio deve essere quello di oggi, di tutti i giorni, in cui la gente ci si può rivedere. Perché il dialetto c’è ma non è certo quello di trent’anni fa, molti personaggi parlano in italiano, altri con diversi accenti o dialetti di altre regioni italiane, la società è cambiata molto, è più mescolata rispetto a un tempo, e molti giovani non lo parlano il dialetto, ma lo capiscono se non è troppo stretto e li fa divertire molto, se usato nel modo giusto. Non possiamo pretendere che si parli oggi giorno un dialetto come quello dei nostri nonni o dei nostri genitori, è normale, mia madre parla perfettamente il dialetto, ma non è come quello che parlava mia nonna, e mia nonna parlava il dialetto, ma era già diverso da quello della mia bis nonna, è normale, non c’è da aver paura».

Tutto questo comporta una maggiore difficoltà a veicolare il dialetto...

«Bisogna impegnarsi più di un tempo, è vero, difficile certo ma non impossibile. Il nostro pubblico è composto da famiglie, anziani, giovani e addirittura bambini. Quindi il teatro dialettale non sta finendo, sta solo cambiando: il più è riuscire a trovare la giusta chiave di lettura, di questa società che cambia in continuazione e corre molto veloce. Senza perdere però le tradizioni, per quello ci chiamiamo Fnil Bus Theater, ovvero fienile bucato, uno scotmai, soprannome di una zona di Praticello, dove negli anni Cinquanta è nata la prima compagnia filodrammatica del paese, la Filodrammatica Finilbuchese, noi abbiamo modernizzato il nome mettendoci un Theater, e il simbolo del galletto, per ricordarci che proveniamo dalla culla del dialettale, il cortile. La Fnil Bus è una compagnia teatrale ma soprattutto è una famiglia».

Chi fa parte della compagnia?

«Ci sono Nicoletta Papaleo, Marco Magnani, mio fratello Alessandro Scalabrini, Giorgia Cagnolati, Erica Torreggiani, i giovanissimi Mirco e Marianna, Matteo Bertolini , tecnico di grande talento, più altri che stanno entrando. Tutte persone speciali. Poi ci sono io, Damiano Scalabrini. Dicono che sono quello più sclerotico, in effetti è vero, ma forse perché ho sempre il difficile compito di mantenere la rotta di questa nave di pazzi». l

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