Gazzetta di Reggio

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Daniele Benati torna con Racconti omaggio al fratello e a Ghirri

Elisa Pederzoli
Daniele Benati torna con Racconti omaggio al fratello e a Ghirri

L’immagine della copertina è un’opera di Davide Benati a cui è dedicato un brano

25 agosto 2023
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Daniele Benati torna a percorrere la strada dei racconti. La via, dice, per la quale sente di avere il giusto fiato. «In atletica, non sarei stato un mezzo fondista al massimo un centometrista». “Racconti” esce in libreria il 30 agosto prossimo, per la Compagnia Editoriale Aliberti nella collana Salamandra. Lo scrittore, traduttore e docente reggiano (ha insegnato in varie università di Irlanda, Stati Uniti e Ungheria) classe 1953 ha radunato dodici racconti a coppie, sotto il segno di personaggi che partono per una direzione, si perdono a metà viaggio, si ritrovano, finiscono fuori strada o in luoghi completamente diversi da quelli verso cui erano diretti.

Con una avvertenza. «Sono stati scritti in epoche diverse e in occasioni diverse. C’è una disparità stilistica che corre il rischio di essere troppo evidente. Metterli a coppie, era l’unico modo di farli stare insieme, metterli a due a due come fratelli».

Fratelli come il racconto dedicato a Davide, noto artista: sua è anche l’opera che ha scelto per la copertina.

«Lui è più vecchio di me di quattro anni. Le scoperte più importanti che ho fatto le ho fatte grazie a mio fratello, parlo di letture, di musiche in quegli anni che sono così importanti, prima di diventare adolescenti. Quando hai 30 e 34 anni la differenza non si sente, ma quando hai 14 e 18 anni sì, perchè si frequentano mondi diversi. A lui devo la formazione di quegli anni. Era doveroso mettere un omaggio a lui. Questo racconto l’ho scritto per la sua mostra a Palazzo Magnani del 2003. Era uscito nel catalogo».

Non è il solo omaggio. Il racconto “Ballata” è dedicato al fotografo reggiano scomparso nel 1992, Luigi Ghirri.

«Nel 2003, Paola Ghirri mi aveva chiesto insieme ad altri due amici di parlare di lui alla Festa dell’Unità. Io lo conoscevo bene, ma non sono un storico della fotografia. L’unica cosa che potevo fare era raccontarlo per come lo avevo conosciuto».

La dimensione del racconto resta la sua prediletta?

«È un genere che mi piace, come la canzone. Purtroppo, l’Italia è un paese in cui il genere dei racconti viene guardato male dagli editori. Ci ho pensato parecchio. Credo di capirne il motivo per cui i lettori stanno alla larga dai racconti. Invece, in altri Paesi di cui apprezzo la cultura, come Irlanda e Stati Uniti, i racconti sono un genere che ha sempre goduto di grande stima. Per come la vedo io, il romanzo dovrebbe essere il prodotto letterario di un impero che si espande. Non a caso l’Inghilterra ha grandi romanzi, mentre l’Irlanda ha una grande tradizione di racconti. Non so come mai in Italia non sia così, infondo non ha mai avuto una grande tradizione di romanzi, perchè anche scrittori come Calvino e Malerba quello che hanno fatto più che romanzi sono raccolte di testi brevi. E anche Manzoni ne ha scritto solo uno».

In questa raccolta, c’è anche il suo primo racconto: Long Vehicle Scania.

«Quello è il primo racconto che in effetti ho scritto per una cosa che volevamo fare io e Luigi Ghirri, di invitare diversi artisti come De Gregori, Guccini e altri che potevano aver avuto a che fare con Bob Dylan. Il progetto era di scrivere testi per un libro dedicato a Bob. Io l’ho fatto sul famoso concerto del 1969 sull’isola di Wight. Ero troppo piccolo per andare, il viaggio l’ho fatto lo stesso con questo racconto».

Quale è il racconto a cui è più legato?

«Quello finale. È il più lungo e andrebbe letto con cura. Ci ho lavorato parecchio. È ambientato in Irlanda. C’è un filo che dall’Emilia porta all’Irlanda e dall’Irlanda torna all’Emilia. Non è una cosa autobiografica, però vuole essere un omaggio a entrambe le terre, quella mia di origine e quella di adozione».

Quando si smette di riscrivere?

«È una dannazione. Pensiamo al Manzoni che prima ha scritto Fermo e Lucia, poi la versione del ’27 e poi quella del ’40. A un certo punto si muore, altrimenti se ne farebbe un’altra ancora. C’è qualcosa che non è mai definitiva nella letteratura. Quando si rilegge a volte si ha la sensazione di poter migliorare ancora. A me capita anche con le traduzioni. Scrivere è sempre movimento, poi a un certo punto uno deve finire perché deve pubblicare. Poi bisogna stare attenti perché a volte a furia di voler migliorare si rischia di peggiorare le cose. Magari bisogna lasciare le cose come sono, che i difetti spesso li vedono solo gli autori. Come in un concerto: a volte il pubblico delle stecche di un musicista non se ne accorge».

Ci aspettiamo di vederla presto a presentare il suo libro in qualche occasione?

«Di presentazioni ne ho sempre fatte poche in vita mia. Ma con questo libro mi è tornata la voglia».l

In libreria dal 30 agosto256 pagine a 17,96 euro