VajontS 23, teatro civile e corale per una memoria che si ripete
I Teatri, Centro MaMiMò, Teatro dell’Orsa e Associazione 5T stasera insieme all’Ariosto: tutto si fermerà alle 22.39, ora della frana
Reggio Emilia Trent’anni fa “Il racconto del Vajont” era la voce e il corpo di Marco Paolini. Questa sera nel 60esimo anniversario della tragedia che costò la vita a 2000 persone, diventerà VajontS 23, azione corale di teatro civile messa in scena in contemporanea in 130 teatri dall’Alto Adige alla Sicilia e anche all’estero.
A Reggio Emilia, VajontS 23 sarà messo in scena al Teatro Ariosto (ore 20.30) dalle realtà teatrali cittadine che hanno aderito al progetto e che stanno collaborando: Fondazione I Teatri, Centro Teatrale MaMiMò, Teatro dell’Orsa, Associazione 5T, con il sostegno dell’assessorato alla Cultura e dell’assessorato alle Politiche per la Sostenibilità del Comune di Reggio Emilia.
La regia sarà di Monica Morini (Teatro dell’Orsa) e di Cecilia Di Donato (Centro teatrale MaMiMò) con la partecipazione di Bernardino Bonzani, Riccardo Bursi, Cecilia Di Donato, Lucia Donadio, Francesca Grisenti, Monica Morini, Chiara Ticini, del coro composto da allieve e allievi del Teatro dell’Orsa/Casa delle storie e del Centro Teatrale MaMiMò e con la partecipazione della Banda di Felina e i contributi video di Alessandro Scillitani. Tutti i racconti si fermeranno alle 22.39, l’ora in cui dal pendio del Monte Toc partì la frana verso la diga del Vajont.
La storia del Vajont riscritta, 25 anni dopo il racconto televisivo, da Marco Paolini con la collaborazione di Marco Martinelli, drammaturgo e regista del Teatro delle Albe, non è più solo un racconto di memoria e di denuncia sociale, ma diventa una sveglia. La narrazione di quel che è accaduto si moltiplica in un coro di tanti racconti per richiamare l’attenzione su quel che potrebbe accadere. O su quello che sta già accadendo, dalla Romagna alla Libia, come se l’essere umano in questi anni non avesse imparato nulla. «Quella del Vajont – spiega Paolini – è la storia di un avvenimento che inizia lentamente e poi accelera. Inesorabile. Si sono ignorati i segni e, quando si è presa coscienza, era troppo tardi. In tempo di crisi climatica, non si possono ripetere le inerzie, non possiamo permetterci di calcolare il rischio con l’ipotesi meno pericolosa tra tante. Tra le tante scartate perché inconcepibili, non perché impossibili». «Il teatro – aggiungono le registe – è uno strumento potente, serve proprio perché sembra non servire a niente. Centocinquanta luoghi diversi, dai grandi teatri alle realtà più piccole, unite nello stesso momento in tutta Italia, daranno voce al Vajont. È un rito unico, partecipato, intergenerazionale, come il coro che abbiamo coinvolto in scena e la banda di Felina che agirà con noi. Farlo a Reggio insieme costruisce ponti di senso non solo per fare memoria ma per sentirsi parte di un Noi più grande che si occupa del presente, si accorge di ciò che accade e ne ha cura».
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