Gazzetta di Reggio

Calexico, l’unica tappa è al Valli sotto il segno di “Feast of wire”

Adriano Arati
Calexico, l’unica tappa è al Valli sotto il segno di “Feast of wire”

Intervista a Joey Burns stasera sul palco con John Convertino

24 ottobre 2023
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Reggio Emilia Vent’anni dopo, al punto di partenza. Lo hanno cantato Dumas, Guccini e ora tocca ai Calexico, una delle band più amate di quel meraviglioso periodo indie di frontiera tra la fine degli anni ’90 e l’inizio del millennio. La band dell’Arizona creata da Joey Burns e John Convertino, all’epoca membri dei Giant Sand, suonerà questa sera (ore 21) al teatro Valli nell’unica tappa italiana del tour allestito per il ventennale dell’album “Feast of wire”.

Un momento atteso, per la sua eccezionalità e perché sancisce l’ingresso del principale teatro cittadino nel circuito del Barezzi Festival, la bellissima rassegna nata a Parma che ora punta ad allargare il proprio raggio d’azione inaugurando una collaborazione con il Festival Aperto.

Lo spettacolo del Valli sarà l’anteprima di un cartellone che a novembre regalerà tanti concerti notevoli. Compreso quello dei Giant Sand da cui i Calexico sono nati quasi trent’anni fa.

«Non penso molto al passato, a cosa mi sarei aspettato allora. Il tempo passa e tutto va avanti così rapidamente, mi sento fortunato ad aver vissuto un periodo così lungo dentro alla musica, fortunato perché ci sono persone che ancora vengono a sentirci suonare», racconta ora Burns, voce e principale autore della band.

In Italia, avete avuto successo, nel mondo indie, sin dai primi due dischi. Cosa ricorda di quei giorni?

«Per il primo disco, mi viene da parlare di fortuna dei principianti, abbiamo sperimentato con strumenti che normalmente non suonavano, abbiamo passato tante ore in studio. Con il secondo, “Hot rail”, abbiamo seguito la stessa strada, abbiamo approfondito le sonorità mariachi messicane e quel sapore di West così importante nel Sud-Ovest degli Usa».

E poi “Feast of wire”. Vi aspettavate il botto?

«Quello è stato davvero un disco divertente da fare, ormai eravamo insieme da un po’, avevamo fatto diversi tour ed è stato bello mettere insieme tante canzoni suonando dal vivo in studio, insieme».

Lo fate pure ora, no?

«Adesso, 20 anni dopo, suoniamo il disco dal vivo con la stessa sequenza dell’album, è divertente aggiungere qualche parte strumentale improvvisata».

Rifate quel disco in un mondo molto diverso da quel 2003. Cosa si prova a sfogliare quei ricordi?

«Il mondo è davvero diverso, sì, ma va detto che tanti testi sono ancora attuali, parlano di come vanno le cose nel mondo, forse ancora più oggi di allora».

Voi, sin dal nome, siete un’icona di confini abbattuti, di commistioni, di Usa e di Messico insieme. Come siete finiti in mezzo a quell’universo?

«Non so dire se c’è stato un momento preciso che ci ha portato lì. Ho vissuto per dieci anni tra California e Arizona, a un certo punto diventa un modo di vivere. Amavamo il jazz degli anni ’40 e ’50, il country e abbiamo voluto trovare i legami tra questi suoni, e con quelli della tradizione messicana e delle colonne sonore di Ennio Morricone».

Sia lei che Convertino avete decine di collaborazioni alle spalle, ma i Calexico rimangono sempre attivi. Sono la vostra vera casa?

«I Calexico sono la famiglia, con tanta fiducia e tanta gioia condivise ci troviamo a nostro agio l’uno con l’altro. Allo stesso tempo, siamo sempre stimolati a vicenda, e dai fan».

Come si prepara un tour basato su un singolo disco? Di due decenni fa, poi.

«Tante canzoni le abbiamo suonate nel corso degli anni, abbiamo fatto prove per quelle che non eseguivamo mai. È interessante seguire la sequenza originale del disco, perché di solito noi cambiamo scaletta a ogni concerto. Alla fine, chiudiamo con qualche brano da altri dischi, e lì variamo».

Vi concedete sfizi?

«Cerchiamo di non fare concerti troppo lunghi, ma è piacevole finire la serata sempre con brani diversi, anche in base a come il pubblico vive lo show».l