Gazzetta di Reggio

Al Valli apre la stagione della lirica. «Dedizione, segreto del mio canto»

Giulia Bassi
Al Valli apre la stagione della lirica. «Dedizione, segreto del mio canto»

Stasera il Don Carlo. Il basso Pertusi: «Sottolineo l’introspezione di Filippo II»

17 novembre 2023
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Reggio Emilia Oltre alla passione verdiana e all’amore per questo titolo complesso, denso e dai risvolti oscuri, non sono pochi i motivi per i quali non bisogna mancare questa sera al Teatro Valli in occasione dall’apertura della Stagione Lirica con Don Carlo. In primis mettiamo la ricchezza dell’allestimento – la regia è firmata da Joseph Franconi Lee con le scene e i costumi disegnati da Alessandro Ciammarughi che ha voluto ispirarsi allo storico spettacolo realizzato al Teatro dell’Opera di Roma di Luchino Visconti – ma anche per il cast, dove emerge come Filippo II – un ruolo che lo sta celebrando ulteriormente come grandissimo cantante qual è oramai da molto anni – il basso Michele Pertusi. Con l’Orchestra dell’Emilia-Romagna Arturo Toscanini e il Coro Lirico di Modena diretta da Jordi Bernàcer sono anche in scena Piero Pretti (Don Carlo), Anna Pirozzi (Elisabetta), Ernesto Petti (Rodrigo), Ramaz Chikviladze (Il grande Inquisitore) e Teresa Romano (La principessa Eboli). Oltre a stasera, con inizio alle ore 20, Don Carlo è in scena anche domenica alle 15.30. La personalità di Pertusi è unica: difficilmente in un altro cantante si trovano riunite una profondità interpretativa stellare – che sta durando nel tempo – unita, umiltà gentilezza e sentendolo parlare qualora avessimo dei dubbi una passione per il proprio lavoro infinita.

L’aria a lui affidata “Ella giammai m’amò”, a inizio terz’atto, è oggetto di applausi interminabili come i momenti in cui è in scena: Duetto con Rodrigo, quello con l’Inquisitore; tra l’altro è di pochi giorni fa la notizia che, nello stesso ruolo, inaugurerà la stagione del Teatro alla Scala, essendo scelto da Riccardo Chailly in sostituzione di René Pape.

Michele Pertusi qual è il segreto del suo canto?

«Non c’è un segreto particolare se non la dedizione. Una passione sempre profonda con la quale, sembra una banalità, cerco di servire meglio che posso la musica. Ho iniziato a cantare nel 1984, quasi quarant’anni fa cantando praticamene tutto Rossini (tranne l’Inganno felice) e tutti i principali ruoli di basso di Bellini e Donizetti poi sono approdato a Verdi. Mi mancano i ruoli da basso del repertorio tedesco, russo e slavo... sono lingue difficili...».

Com’è il ruolo di Filippo II?

«Uno dei più personaggi della storia dell’opera che ho debuttato a 50 anni, relativamente tardi: l’ho studiato per conto mio, prima ancora di essere chiamato nel cast; in questi anni mi è capitato anche di cantarlo in francese, due volte. Quando studio mi piace raccogliere tutte le informazioni possibili: storiche e naturalmente, sapere il contesto in cui nasce l’opera. E, naturalmente, mi piace dare una sbirciata ai grandi cantanti del passato... studio con accuratezza le loro interpretazioni cercando di capire la loro sensibilità. In questo caso, mi sono ascoltato le diverse incisioni dal vivo di Cesare Siepi, Nicolaj Ghiaurov, Ferruccio Furlanetto e Samuel Ramey con il quale sento una certa affinità, provenendo anch’io dal “belcanto”».

Questo cosa implica?

«Ho affrontato come Ramey un percorso che si esplica come una disciplina tecnico-interpretativa che, per dirla semplicemente, non ci vieta di andare sopra le righe, oltre i binari conservando equilibrio controllo: anche il mio Verdi risente del “belcanto”; io lo penso così perché egli viveva in quegli anni. Ma ci sono altri cantanti che ho ascoltato, ad esempio Bonaldo Giaiotti: il suo Filippo II si caratterizzava per la caratura vocale piuttosto che psicologica».

E la tua interpretazione dell’imperatore?

«Vorrei sottolineare il senso profondo di introspezione di uomo sofferente, amareggiato, soggiogato a causa dei rapporti dilaniato con la moglie, la religione, il figlio, il popolo, le spie... poiché del resto.... “se dorme il prence veglia il traditor” dice nella sua aria “Ella giammai m’amò”. Mi viene in mente l’interpretazione di Boris Christoff, la cui lettura del personaggio è molto psicologica. Aveva un modo di cantare che quand’era in scena guardavi solo lui... la sua personalità era strabordante... ».

A questo proposito, “Ella giammai m’amò la tua voce” è contrappuntata da quella del primo violoncello.

«Non solo qui ma anche in altre circostanze il violoncello per Verdi è lo strumento del dolore, della solitudine e dell’uomo solo». l

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