Castellari interroga con “Beati gli idioti” il celebre romanzo di Dostoevskji
«Myškin? Un povero cristiano in cammino»
Sant’Ilario d’Enza “Beati gli idioti. Dostoevskji e il discorso della montagna” è l’ultimo saggio di Daniele Castellari recentemente pubblicato da Pazzini Editore. L’autore lo presenterà questa sera (ore 20.45) in biblioteca a Sant’Ilario in dialogo con Alberto Zanetti.
“Beati gli idioti” è la rilettura del celeberrimo romanzo “L’idiota” di Dostoevskij attraverso una lente teologica: il cosiddetto “Discorso della montagna” riportato nei Vangeli. Il libro si compone di tre parti: un serrato confronto con i principali interpreti di Dostoevskij sull’identità profonda del principe Myškin, protagonista del romanzo; una lettura “teatrale” del testo proiettato in una dimensione scenica e passato al setaccio delle otto beatitudini evangeliche; una conclusione sul valore estetico ed etico dell’idiozia. E di idiozia, ma non solo, abbiamo parlato con Daniele Castellari.
Innanzitutto cosa l'ha convinta a fare luce sull'identità più profonda del principe Myškin, protagonista del romanzo L'Idiota di Dostoevskij, già al centro di numerose e divergenti interpretazioni?
«Da lettore appassionato del romanzo, mi sembrava che mancasse qualcosa nelle interpretazioni, pur interessanti, di un Myškin controfigura perfetta di Cristo o, al contrario, di un inetto che contribuisce con i suoi pasticci psicologici e morali a creare guai irreparabili. Ho provato a verificare se non si potesse dimostrare che Dostoevskij l’abbia immaginato come Cristo e invece gli sia uscita “l’avventura di un povero cristiano”».
Dostoevskij, durante la stesura del romanzo, a proposito della volontà di raffigurare un uomo assolutamente buono, un Cristo del XIX secolo, scrive: “Nulla, secondo me, può essere più difficile di questo, al giorno d'oggi soprattutto”. Oggi sarebbe forse più facile?
«Sarebbe addirittura inconcepibile. La bontà, la mitezza sono decisamente fuori moda; non perché siamo diventati più cattivi - questo è sempre difficile da misurare - ma perché sono qualità che non attirano il senso estetico odierno. Decisamente vintage».
Nella seconda parte di “Beati gli idioti”, il protagonista del romanzo viene passato al setaccio delle otto beatitudini evangeliche attraverso la lente teologica del Discorso della Montagna. Al termine della disamina, Myškin ancora prima che Cristo o Anticristo ci appare come un povero cristiano in cammino... Eppure è considerato da (quasi) tutti non semplicemente un ingenuo, ma proprio un idiota. Un epilogo obbligato o irreversibile?
«Il romanzo, come sempre in Dostoevskij, finisce e non finisce. L’epilogo riconsegna Myškin alla condizione di qualche tempo prima. Gli eventi terribili a cui ha assistito lo hanno segnato fino a farlo ripiombare in un drammatico stato epilettico. Dobbiamo dunque pensare che essere seguaci di Cristo porta inevitabilmente alla sconfitta e non alla beatitudine? Non è detto: fra le traduzioni del “Beati” evangelico, ce n’è una interessante avanzata da un ebraista di vaglia, come Chouraqui, che nella traduzione in francese la fa risuonare con l’espressione “en marche”. Se la beatitudine è una marcia, non c’è nulla di irreversibile».
Se “Beati i poveri in spirito” è una delle beatitudini pronunciate da Gesù nel Discorso della Montagna e se Idiota, nella tradizione russa, è il folle in Cristo, il puro, colui che è senza macchia e che tutto sa perdonare... Tra Idiota e Beato qual è, se c'è, l'anello mancante?
«Non c’è anello mancante. La condizione dell’idiozia, così come lei l’ha enunciata perfettamente nella domanda, è necessaria e sufficiente per la felicità».
E arriviamo alla frase forse oggi più inflazionata, nonché utilizzata da credenti come da agnostici per augurarsi tutto e il contrario di tutto, che ne L'idiota non viene neppure pronunciata da Myškin ma a lui attribuita: “La Bellezza salverà il mondo”. Ma se qui Dostoevskij l'intende come scommessa sul futuro non se ne intravede quasi distintamente il fallimento?
«Dostoevskij è un mistero anche per se stesso: perciò è così affascinante. La bellezza nel romanzo è definita in modi diversi, talora antitetici. Più che un futuro, quel salverà interpreta un significato potenziale, una possibilità. Forse lo potremmo intendere come un suggerimento: se qualcosa potrà salvare il mondo, quella cosa è la bellezza».
La sua narrazione “teatrale” sembra ricalcare i Taccuini preparatori di Dostoevskij. È un caso o una scelta?
«Ho indagato il romanzo tornando per otto volte sul testo e perlustrandolo alla ricerca di qualsiasi segno di beatitudine evangelica nel protagonista. La ricognizione a un certo punto è diventata un ghirigoro di orme e di tracce, talora contraddittorie, e in quel momento ho capito che il presunto caos che regna nei Taccuini preparatori dell’Idiota conferma in realtà che Dostoevskij percepisce i suoi personaggi come incompiuti: sempre in divenire, sempre inquieti, sempre drammatici. A quel punto ho adottato un criterio di narrazione “teatrale”, approntando tutte le volte una specie di set per mandare in scena il dramma del personaggio. In questo modo il lettore che non conosce il romanzo viene accompagnato a una prossima lettura, mentre chi lo ha già frequentato potrà discutere la bontà dell’interpretazione».