Gazzetta di Reggio

Cinema

Dall’Appennino al grande schermo “Il vento soffia dove vuole”

Linda Magnoni
Dall’Appennino al grande schermo “Il vento soffia dove vuole”

Il film del reggiano Marco Righi da giovedì 29 febbraio al cinema Olimpia

25 febbraio 2024
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Reggio Emilia Si intitola “Il vento soffia dove vuole” il nuovo film del reggiano Marco Righi presentato sabato al Bismantova: all’evento hanno partecipato i sindaci di Castelnovo, Casina, Carpineti e Ventasso, i comuni dell'Appennino in cui hanno avuto luogo le riprese, assieme a Fabio Abagnato, responsabile della Film Commission Emilia-Romagna. La pellicola arriva quindi in sala a partire dal cinema Olimpia di Reggio dove sarà in programma al cinema Olimpia questa sera domenica 25 febbraio (ore 21) e ancora dal 29 febbraio al 6 marzo al cinema Olimpia, per approdare poi a Mantova, Parma e Ferrara.

A dodici anni dall’uscita della sua opera prima, “I giorni della vendemmia”, il secondo film di Righi è stato girato in tre settimane con il sostegno della Regione Emilia-Romagna, ed è prodotto da Obiettivo Cinema. Presentato lo scorso luglio in concorso al festival internazionale di Karlovy Vary, è entrato nelle selezioni ufficiali del Thessaloniki film festival, del Mannheim-Heidelberg e del festival del cinema di Porretta.

Marco Righi è nato e vive a Reggio Emilia. Dal 2009 con il suo studio, “505”, si occupa di ideazione, produzione e post-produzione video. “Il vento soffia dove vuole” è il suo secondo lungometraggio: attraverso le vicende del protagonista Antimo (Jacopo Olmo Antinori) e dei personaggi che lo circondano (Lazzaro, interpretato da Fiorenzo Mattu, Marta da Yile Yara Vianello, Miriam da Gaja Masciale, il papà di Antimo da Andrea Bruschi, Don Duilio da Fausto Paravidino) esplora il tema del sacro, ponendo gli spettatori di fronte a una scelta radicale e lasciando loro libertà d'interpretazione. Ecco come Righi ci ha parlato del suo lavoro.

Sono passati dodici anni dal primo film...

«Sì. Nel frattempo ho lavorato per il mio studio. Poi, poco prima della pandemia, è arrivata la proposta di Obiettivo Cinema, società di produzione e distribuzione di Alba, che mi ha chiesto una storia “piccola”. Complice il periodo, ho potuto dedicarmici a tempo pieno».

Da dove viene questa “storia piccola”?

«Avevo già un insieme di idee, sensazioni che confluivano verso un soggetto. Io sono abbastanza distante dal sacro, anche se ho avuto un'educazione cattolica. Inoltre c'è stato l'incontro con un saggio, “Il trascendente nel cinema” di Paul Schrader. Poi hanno avuto un ruolo anche Bresson, Dreyer, Bergman, Tarkovskij, Piavoli».

Che cos'è il trascendente nel cinema?

«È la domanda da cui parte Schrader: come può il cinema mettere in scena il trascendente? Fa un'analisi di tre autori, Ozu, Bresson e Dreyer, e descrive una struttura in tre atti: quotidianità, scissione, stasi. Quando l'immagine si ferma, il tempo si dilata, ed è lì che lo spettatore smette di subire l'immagine e assume un ruolo attivo».

Come mai “Il vento soffia dove vuole”?

«Fa riferimento alle parole del Vangelo secondo Giovanni: a Nicodemo, che si chiede chi sia il giovane di Nazareth che sta creando problemi nel suo paese, Gesù risponde che il vento soffia dove vuole. C'è di mezzo il giansenismo, che ha un'idea diversa del libero arbitrio rispetto al cristianesimo: la grazia ce l'hai o non ce l'hai».

Qual è la trama del film?

«Antimo, che abita in un borgo disperso dell'Appennino, ha fin da bambino una vocazione cristiana. Incontra Lazzaro, semplice e selvaggio aiutante nella vicina fattoria, che è molto distante da lui: per età, ma anche per cultura; tuttavia c'è qualcosa che li accomuna. Antimo, che fa della religione lo scopo principale della sua vita, si propone di convertirlo. Questo legame li porterà incontro al proprio destino».

A proposito di Appennino, anche questo film è stato girato in territorio reggiano. Già “I giorni della vendemmia” si apriva con una citazione tratta da “Altri libertini” di Pier Vittorio Tondelli: “Sulla mia terra, semplicemente ciò che sono mi aiuterà a vivere”.

«Ci sono alcuni tratti comuni tra i due film. Quella era una frase adatta al personaggio di Elia, che è alla ricerca della propria identità, mentre Antimo è più grande e ha ben chiaro cosa fare, è determinato quasi in modo esasperato. Anche questa volta il film si apre con una citazione: “Niente somiglia di più a un vero santo di un falso santo”. È di un abate francese, Amédée Ayfre».

Il prossimo film?

«Ho ancora un soggetto, un po' più tondelliano. Intanto vi invito a “In attesa del vento” giovedì 29 febbraio, alle 18.30 al Catomes Tôt: è organizzato dal Reggio Film Festival e saranno presenti, oltre a me, Jacopo Olmo Antinori, attore protagonista e Luca Giovanardi, autore delle musiche, in dialogo con il critico Paolo Vecchi e con Alessandro Scillitani».

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