Partita la XIX edizione con le giornate inaugurali. “La natura ama nascondersi”
Fine settimana di apertura per le mostre che animano Reggio Emilia
Reggio Emilia Con una grande affluenza di pubblico è partita la XIX edizione di Fotografia Europea, organizzata dalla Fondazione Palazzo Magnani e dal Comune di Reggio Emilia, con il contributo della Regione Emilia-Romagna. Dopo le giornate inaugurali, le mostre si potranno visitare fino al 9 giugno. Il titolo che è anche il tema della kermesse, “La natura ama nascondersi”, risale a Eraclito, come ha sottolineato Tim Clark, direttore artistico della manifestazione insieme a Walter Guadagnini e Luce Lebart: comunica un senso di mistero e nello stesso tempo richiama la potenza di una natura che, nel celare la sua essenza ai nostri occhi, sempre più spesso paradossalmente la rivela in modi distruttivi. Il tema è stato affrontato sotto diversi aspetti: dallo studio delle nuvole alla difesa degli orti urbani allo studio delle popolazioni che abitano l’Artico; si va dalla Siberia al Messico, dall’India al Sudafrica. L’urgenza di raccontare ha toccato anche temi collegati a vere e proprie inchieste come lo sfruttamento di risorse richiesto dai bitcoin.
Chiostri di San Pietro
Gli spazi dei Chiostri di San Pietro ospitano il maggior numero di mostre che quest’anno sono dieci. Si parte a piano terra con un’esposizione che “ferma” le nuvole: è la collettiva “Sky Album. 150 years of capturing clouds” dell’Archive of Modern Conflict. Si parte dagli albori della fotografia: dal francese Gustave Le Gray all’italiano Mario Giacomelli, quindi l’americano Edward Steichen fino ai due artisti contemporanei chiamati a creare due installazioni, la finlandese Anna Ninskanen e il britannico Kalev Erickson.
Al primo piano, “Within Sight”, progetto espositivo di Helen Sear che esplora il nostro rapporto di esseri umani con la natura attraverso il tema ricorrente degli alberi invitando lo spettatore a riflettere sugli elementi collegati dentro a paesaggi boschivi e dentro di sé coinvolgendo tutto il corpo nell’atto del guardare.
Yvonne Venegas con “Sea of Cortez” traccia una storia intergenerazionale in equilibrio tra l’esperienza della sua famiglia - che ha abitato le miniere di rame di Santa Rosalia, nella Bassa California, all’inizio del Novecento - e quella di una generazione che ha sfruttato i territori intorno al Mar di Cortez.
Il fotografo indiano Arko Datto porta all’attenzione dei visitatori la questione incombente della catastrofe climatica e dei rifugiati che questa genera, attraverso una trilogia fotografica in corso da nove anni. Davvero suggestive le sue immagini - vere e proprie scatole illuminate - che fanno parte del progetto “The Shunyo Raja Monographies” e sono dedicate al territorio del Delta del Bengala, tra gli epicentri del cambiamento climatico.
A seguire Matteo de Mayda, fotografo veneziano, espone un’installazione composita che fa parte del progetto “There’s no calm after the storm”, in cui indaga gli impatti a lungo termine e meno visibili della tempesta Vaia, che ha colpito il Nord-Est dell’Italia alla fine 2018; se le tempeste hanno sempre fatto parte della storia dei boschi, il riscaldamento globale ne sta ampliando la portata e la frequenza. La mostra di Jo Ractliffe, “Landscaping”, è dedicata al paesaggio sudafricano ripreso durante i suoi viaggi in auto lungo la costa sud-occidentale. Negli scatti in bianco e nero, Ractliffe riflette sul concetto di paesaggio. Con il termine landscaping, l’artista cerca di trasmettere l’idea di paesaggio come qualcosa di attivo, capace di conservare la memoria del passato. Di profondo interesse “Permafrost”, il lavoro di Natalya Saprunova che racconta la vita delle popolazioni dell’estremo nord del continente asiatico. I colori tenui dei suoi scatti restituiscono l’ansia di queste comunità, testimoni del rapporto simbiotico con una natura estrema che oggi è messo a rischio dalle conseguenze dell’industrializzazione. La fotografa americana Terri Weifenbach in “Cloud Physics” esplora l’interconnessione tra le nuvole e le intime forme della vita biologica, mentre Lisa Barnard con “An Act of Faith: Bitcoin and the Speculative Bubble” conduce alla riflessione sulla creazione di bitcoin, beni digitali che seppur immateriali richiedono un enorme sforzo ambientale. La fotografa britannica documenta lo sfruttamento dell’energia geotermica in Islanda, necessario per sostenere il processo di estrazione mineraria: le temperature islandesi fanno sì che le masse di calore generate dall’hardware coinvolto, siano notevolmente ridotte, contribuendo a mantenere un microclima obbediente.
Bruno Serralongue dedica “Community Gardens of Vertus, Aubervilliers” alla lotta che alcuni giardinieri portano avanti per opporsi all’abbattimento di oltre 4.000 metri quadrati di orti, a favore di nuove costruzioni per i Giochi Olimpici di Parigi 2024.
Palazzo da Mosto
Fascinosa l’esposizione a Palazzo da Mosto “day by day” prodotta da Fotografia Europea 2024: porta la firma di Karim El Maktafi che cattura svariati paesaggi dell’Appennino Emiliano, in cui esamina il profondo e fragile legame tra l'uomo e la natura. A Palazzo da Mosto anche i progetti di Marta Bogdanska e Michele Sibiloni selezionati dalla giuria della Open Call, tra oltre 500 lavori. “Shifters” di Marta Bogdanska è un lavoro di ricerca d’archivio e una raccolta di articoli sulle spie animali in guerra messi in relazione con la storia della loro liberazione e dei loro diritti. Michele Sibiloni, con “Nsenene” stimola una riflessione sul futuro dell’alimentazione mondiale documentando l’attività di raccolta delle cavallette in Uganda. Nel salone d’entrata, la mostra “Index Naturae” con 116 libri fotografici pubblicati negli ultimi cinque anni dedicati alla natura, a cura di Stefania Rössl e Massimo Sordi (Osservatorio Mobile Nord Est).
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