Gazzetta di Reggio

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Dal vino naturale ai rischi per la salute: un libro per fare chiarezza

Jacopo Della Porta
Dal vino naturale ai rischi per la salute: un libro per fare chiarezza

Intervista a Michele Antonio Fino, autore di “Non me la bevo. Godersi il vino consapevolmente senza marketing né mode”, appena uscito per Mondadori

16 maggio 2024
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Reggio Emilia No, non è vero che il vino si è sempre fatto nello stesso modo e che il vino contadino è sempre meglio di quello industriale. E ancora no, non è scontato che il vino naturale sia più naturale del vino trattato...

È uscito per Mondadori “Non me la bevo: Godersi il vino consapevolmente senza marketing né mode” (204 pagine, 19 euro), scritto da Michele Antonio Fino, professore associato di Fondamenti del Diritto Europeo nell’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo e figura nota anche nella nostra provincia (ha collaborato alla nascita del centro di ricerca e innovazione Cirfood District, dove quest’estate tornerà per un corso breve, dedicato chi lavora nel mondo del cibo, insieme al suo amico Alberto Grandi, autore del best seller Denominazione di origine inventata). 


Professore, un libro che sfata miti e smaschera le bugie del marketing. È un terreno minato: quando si tocca la tradizione gastronomica le reazioni possono essere molto forti.

«Verissimo. Il vino gode di una considerazione quasi sacrale, qualcosa del genere avviene soltanto per il pane. Per questo è un argomento che va affrontato con le pinze. Però, questo non vuol dire che non vada trattato. Siamo immersi in tali e tante retoriche che per il consumatore è difficile orientarsi».

Non è facile definire questo libro. Unisce parti didascaliche, nelle quali spiega come si legge un’etichetta, a riflessioni generali nelle quali svela cosa si cela dietro a certe mode.

«È un libro per chi è curioso del mondo del vino e vorrebbe capire perché gode di un’attenzione di cui non godono altre bevande. È rivolto a chi vuole scoprire cosa c’è sotto una patina talmente luccicante che spesso non lascia vedere la verità nascosta. Una verità fatta di chiaro e scuro».
 

A proposito di miti. Quello del vino contadino è molto persistente.

«Il vino del contadino ha vissuto tre vite. Nel Dopoguerra Mario Soldati cercava i vini senza etichetta. Negli anni ‘70 Luigi Veronelli esaltava il vino di chi coltiva la vigna e ne vinifica il frutto esprimendo sfiducia nei confronti delle grandi dimensioni. Dopo il 2000 è arrivata la fase legata ai movimenti no-logo, antimercato e antiglobalizzazione, per i quali preferire il vino contadino è una risposta alle logiche dell’economia globalizzata».

Il vino naturale è un ossimoro?

«Se con vino naturale indichiamo un vino prodotto con un ricorso ridotto alla tecnologia disponibile, non è un ossimoro, ma una convenzione linguistica. Se intendiamo un vino più sano o l’unico rispettoso dell’ambiente e sostenibile, è un trucco del marketing».

Sfidiamo un po’ il nostro “gastronazionalismo”, per dirla con un titolo di un libro di cui lei è coautore. In fatto di vini, i francesi sono dei maestri, no?

«Certo, hanno iniziato a fare marketing territoriale tantissimo tempo prima. I loro distretti enologici sono nati quando da noi non si vedeva nulla all’orizzonte. Hanno un vantaggio storico incommensurabile. Tuttavia, in poco più di 100 anni i vini italiani hanno realizzato un recupero pazzesco: ricordiamoci che a fine Ottocento l’unico ad essere esportato era il Marsala e lo facevano gli inglesi».

Una questione di scottante attualità: il vino fa male alla salute o fa buon sangue?

«Non si può affermare che faccia bene. Dopo di che, non vuol dire che faccia male all’istante se si consuma con moderazione. Tuttavia, anche un consumo moderato aumenta i rischi e dunque rientra nella categoria delle azioni che compiamo ogni giorno modificando la probabilità di eventi avversi. L’importante è che il consumo, moderato e preferibilmente conviviale perché questo favorisce la moderazione, avvenga sulla base di informazioni corrette e non sia influenzato da un marketing senza scrupoli. Se qualcuno mi dice che il suo vino è salutare è un irresponsabile. Per quanto mi riguarda, sono un produttore di vino e un consumatore. Bisogna accettare la complessità dei nostri comportamenti e riappacificarsi con il fatto che gli esseri umani fanno, frequentano, praticano e anche consumano cose per la gioia, il piacere, il sollievo che ne traggono, nonostante i rischi».

Restando nel marketing: i nostri vini sono gli eredi di quelli che facevano i Fenici, i Greci e i Romani, come talvolta raccontano alcuni produttori?

«Non lo sono, i nostri vini attuali sono tutti figli di Pasteur, che scoprì che l’uva diventa vino grazie a dei microorganismi. Senza contare che a fine Ottocento il problema della fillossera, fu superato con la pratica dell’innesto, sfruttando la resistenza dell’apparato radicale di alcune varietà di vite americana, ma dando vita a un vigneto europeo nuovo».