Esce “Il Reggianino - L’Arsanèin”: obiettivo salvare il dialetto reggiano
Reggio Emilia: il vocabolario bilingue nato dal progetto Léngua Mèdra, nove gli autori
Reggio Emilia È un'impresa non facile quella intrapresa dai nove autori de “Il Reggianino - L'Arsanèin”, vocabolarietto bilingue di 72 pagine edito da Sigem: trasmettere ai piccoli reggiani di oggi i rudimenti del dialetto, a loro perlopiù ignoto, che una volta era parlato quotidianamente quasi da tutti nella nostra provincia, con le molteplici varianti tipiche degli idiomi “volgari”.
Viviamo in un’epoca in cui l'incalzante anglofonia minaccia la sopravvivenza della stessa lingua nazionale. Quelle locali sono moribonde nelle famiglie autoctone, inesistenti nelle molte immigrate da altre regioni o dall'estero. È un motivo in più per fare leva sulla naturale curiosità e sull’intelligenza dei bambini, offrendo loro uno strumento linguistico per approfondire la conoscenza della società in cui vivono.
La pubblicazione è nata dal progetto Léngua Mèdra, attivo online per salvare ciò che resta dell'antica lingua materna, in collaborazione con l’associazione culturale intitolata alla senatrice comunista cavriaghese Carmen Zanti e con la Fondazione Famiglia Sarzi, la dinastia di burattinai che spesso utilizzavano il vernacolo per farsi intendere dal pubblico infantile. Gli estensori sono Betty Bertani Luciano Cucchi, Denis Ferretti, Livio Ferretti, Andrea Gibertini, Rolando Gualerzi, Gian Franco Nasi, Brunetta Partisotti e Isarco Romani.
Il più noto e ponderoso repertorio del dialetto nostrano è quello pubblicato da Luciano Serra e Luigi Ferrari nel 1989 come “Dizionario dal reggiano all'italiano” e nel 2006 come “Dizionario dall'italiano al reggiano”. Inoltre si può consultare via Internet il “Vocabolâri dal parôli mia cumûni druvêdi int al sît” (vocabolario delle parole non comuni adoperate nel luogo), a cui hanno messo mano la Provincia e varie associazioni per sottrarre all'oblio i termini dialettali più caratteristici e di difficile comprensione. Lo scopo dichiarato del Reggianino è diverso: rivolgersi ai più giovani nella speranza che lo portino nelle loro case suscitando «la curiosità anche di quelle generazioni di mezzo che ancora comprendono il dialetto, ma lo parlano poco o faticano a leggerlo e ancor più a scriverlo». Gli autori si dicono «fiduciosi che possa essere un ponte per far dialogare i reggiani dialettofoni e i nipoti curiosi di una lingua altrimenti destinata nel tempo a pochi appassionati o studiosi e a corrompersi irrimediabilmente».
La loro osservazione conclusiva è programmatica: «Ogni dialetto ha un suo tremore sorgivo. Succede qualcosa in ogni atto linguistico; succede qualcosa di misterioso... Il linguaggio è il bene più prezioso che abbiamo. L’abbiamo ricevuto in dono: dobbiamo portarlo in salvo, custodirlo e farlo crescere». È un impegno assunto da persone colte che smentiscono un atavico pregiudizio: «Parlare in dialetto – spiegano – non è segno di scarsa cultura. Anzi, significa conoscere una lingua in più dell’italiano, che al pari di ogni altra lingua ha regole grammaticali e strutture sintattiche proprie. Significa allenare le capacità di apprendimento anche delle lingue straniere, con cui si comunica con il mondo».