Gazzetta di Reggio

L’intervista

Alberto racconta mamma Liliana Segre: «Solo a 14 anni ho saputo di Auschwitz»

Guglielmo Mauti
Alberto racconta mamma Liliana Segre: «Solo a 14 anni ho saputo di Auschwitz»

In questi giorni è nelle sale anche a Reggio Emilia e provincia il film che ripercorre la storia della senatrice

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Reggio Emilia In occasione dell’uscita del film “Liliana” di Ruggero Gabbai dedicato alla senatrice Segre in 200 sale italiane tra cui numerosi cinema reggiani (tra cui Boiardo di Scandiano, Novecento di Cavriago, Rosebud e Uci Cinemas in città, Eden di Puianello) abbiamo incontrato uno dei tre figli di Liliana Segre, Alberto Belli Paci. «Sto andando ad Arezzo – ci racconta – perché sto seguendo il progetto “Rondine-Cittadella della Pace” (progetto che si occupa della riduzione e trasformazione creativa del conflitto in ogni contesto, ndr), dopodiché sarò a Pesaro, nostra città d’adozione, per presenziare alla prima del film “Liliana”, infine tornerò a Milano per posare 26 nuove pietre d’inciampo».

Parliamo di sua mamma, Liliana Segre.

«Mia mamma fu già protagonista di un primo film, nel 1997, sempre ad opera di Ruggero Gabbai, regista e amico di famiglia, dal titolo “Memoria”: in questo lungometraggio veniva raccontata la dolorosissima esperienza della Shoah, a partire da quando Liliana venne espulsa dalla scuola nel 1938 a seguito dell’emanazione delle leggi razziali fino alla deportazione ad Auschwitz, dove venne catalogata come un “pezzo”, il numero 75.190 (che le era stato tatuato sul braccio). Miracolosamente, la sorte volle che Liliana venisse costretta a lavorare al coperto nella fabbrica di munizioni “Union”, permettendole, pur nella più assoluta disperazione, di sopravvivere. Anche il rientro a Milano non fu facile: la sua casa non c’era più e dovette ricominciare la sua vita daccapo».

Poi cosa è accaduto?

«Dopo anni di silenzio, quando nasce mio figlio 37 anni fa, lei capisce che il mondo sta andando oltre la memoria e che l’Olocausto rischia di passare in secondo piano. A mio avviso penso anche che lei ritenesse di avere diritto ad uno spazio nella Storia. Trent’ anni dopo, una volta insignita a senatrice a vita della Repubblica, Ruggero Gabbai decide di fare questo film prodotto da Forma International in collaborazione da Rai Cinema, che ha il proposito di raccontare la sua vita anche attraverso le parole di personaggi noti che le sono stati vicini: Fabio Fazio, Enrico Mentana, Ferruccio De Bortoli, Geppi Cucciari, ma anche Mario Monti e Milena Santerini».

E dopo Liliana, cosa avverrà?

«In effetti se lo chiede anche Gabbai, che nel film intervista anche me, mia sorella e mio fratello, dove raccontiamo il nostro rapporto con la mamma. Noi abbiamo sempre vissuto come una famiglia della borghesia milanese e per tanti anni non abbiamo percepito la nostra “appartenenza”. Nemmeno nostra madre voleva che sapessimo questa dolorosa verità».

Quindi non sapevate nulla?

«Io ho scoperto il suo terribile passato da un parente quando, all’età di 14 anni, mi chiese stupito “ma come, non sai niente dei forni?”. Anche mio padre, innamoratissimo di lei, mi raccontò solo qualche parte della verità, per proteggere Liliana dal dolore. Vivevamo un’atmosfera di apparente normalità dove non potevamo avere spiegazioni sui tanti interrogativi che io e i miei fratelli avevamo. Io e lei cominciammo a confrontarci quando avevo già 40 anni, anche se il suo dolore era e rimarrà sempre vivo. Pensi con quale terrore viveva tutte le volte che ci avvicinavamo ad una fabbrica e lei notava le ciminiere accese. Non poterti confrontarti con tua madre perché sai che le provocheresti dolore, rende tutto più complicato».

Ci parli del film “Liliana” presentato in anteprima alla Festa del Cinema di Roma tra gli applausi commossi del pubblico.

«Ruggero Gabbai ha realizzato un film molto importante che da un lato vuole dare un aspetto umano a mia mamma, mostrandola anche quando era più giovane, una bella donna piena di fascino ma con un profondo tormento interiore. Dall’altra realizza una ricerca molto difficile, attraverso numerose interviste a me e ai miei fratelli in oltre un anno di lavoro e diverse riprese. Questo film rappresenta una pietra miliare che rimarrà in modo inconfutabile a testimonianza dell’Olocausto ed è stato realizzato con una delicatezza, profondità, intelligenza e rispetto per la verità storica che raramente ho visto nella mia vita».

Perché questo film ora?

«Non c’è mai un momento sbagliato per parlare della Shoah. Tuttavia le violenze subite e gli eventi successivi al 7 ottobre 2023 hanno riportato alla memoria da un lato l’odio verso gli ebrei e dall’altro il loro isolamento dal resto del mondo. Anche mia mamma da quella data non è stata più la stessa. Le scene serene che vedrete nel film di lei sulla spiaggia di Pesaro sono state girate un mese prima». Com’è il rapporto con sua mamma?

«Quando ero piccolo è stata una mamma molto affettuosa. Io mi chiamo Alberto come mio nonno materno e questo ha creato delle aspettative molto alte su di me, anche se mi sentivo solo un ragazzo normale. Sono sempre rimasto molto affezionato a lei anche quando mi sono dedicato ai miei impegni famigliari e lavorativi che spesso mi vedevano all’estero. Inoltre, mia moglie si ammalò gravemente e soffrì per quattro lunghi anni... Quando rimasi vedovo, cinque anni fa, ho potuto dedicare più tempo a mia mamma, impegnandomi ad affiancarla nel testimoniare il suo passato di dolore e di testimonianza nella conservazione della Memoria, per far sì che le nuove generazioni imparino dal passato e costruiscano un mondo migliore di speranza e uguaglianza per tutti i popoli».l © RIPRODUZIONE RISERVATA