Gazzetta di Reggio

La mostra

La memoria di una generazione incisa sul pavimento di Spazio C21

Giulia Bassi
La memoria di una generazione incisa sul pavimento di Spazio C21

Stefano Serretta, con “Furyo”, mette in discussione le gerarchie espositive

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Reggio Emilia Graffianti, esplosive ritornano le mostre dello Spazio C21 (cortile di Palazzo Brami in via Emilia San Pietro) che presenta “Furyo” di Stefano Serretta. L’esposizione occupa lo spazio della galleria capovolgendo la tradizionale gerarchia espositiva. Il lavoro artistico si concentra in parte all’esterno, occultando l’interno,poi sul pavimento. Subito, ci accoglie un’installazione in legno sulla facciata del palazzo. Su di essa capeggia la scritta “the sand knows what the rock does not” (la sabbia conosce quello che la roccia non sa). La palizzata nasconde la porta d’ingresso e le due grandi finestre della galleria. Il testo a grandi lettere ci offre un indizio: suggerisce una dimensione temporale che solo l’opera installata all’interno della galleria ci svelerà nella sua completezza. Dentro lo Spazio C21 ci accoglie un ambiente etereo, luminoso ma vuoto. Alle pareti non c'è nulla. Il progetto di Serretta è a terra. I led dal soffitto illuminano un pavimento bianco, marmoreo, con una molteplicità di tatuaggi blu disposti con perizia nelle due sale della galleria. Non vogliamo calpestare l’opera, ma siamo invitati ad avanzare, a camminare e ad esplorare i messaggi custoditi dal pavimento. Tutte le immagini sono scolpite in gradazioni di blu; l’acrilico esalta le forme scavate sulle venature del marmo insinuandosi nei graffi leggeri e nelle cavità più profonde. Stiamo calpestando l’incisione di una mappa che il bulino di Serretta ha tracciato sulle piastre di marmo installate nel pavimento dello SpazioC21. Dal centro della prima sala distinguiamo illustrazioni che raffigurano raccolte di oggetti, talismani, icone, feticci, una rosa… che ci appaiono come la raccolta di ricordi di un protagonista della generazione del millennio, residui di una esperienza di vita influenzata dai miti di MtvV, dai comics, dai manga, dalla nascita di internet e dalle speranze disattese di una lotta politica infranta sulle macerie del G8 di Genova.

C’è la sintesi di un percorso che dalle prime esperienze di arte pubblica non autorizzata nelle strade della sua città, lo accompagna alla laurea in storia moderna e contemporanea ed alla specializzazione in belle arti alla Naba di Milano, dove insegna arte pubblica. Ma il pavimento di marmo racconta altre storie e restituisce altre tracce di questo arcipelago temporale. Lo calpestiamo ma allo stesso tempo interagiamo tattilmente con la materia del ricordo. In ogni caso quella di Stefano Serretta, genovese, generazione 1987, è una mostra intima racchiusa in un codice; va osservata, investigata e interpretata. Le parole illustrate hanno il compito di indicare una direzione e di suggerire una lettura possibile. Come nel titolo: Furyo, un nome omen, o meglio un’ipotesi che avvia quel racconto generazionale che testimonia un vuoto, forse un fallimento, come ricorda lo stesso Serretta. «Dopo aver indagato le ripercussioni psicosomatiche e le conseguenze offline del capitalismo contemporaneo e dei sistemi di credenza ad esso correlati, da un punto di vista di ciò che questo ha fatto e sta facendo nel contesto di classe – spiega l’artista – la mia urgenza ora è quella di indagare cosa questo sistema e il suo viverci dentro hanno fatto a me, come soggetto campione di quell’insieme di alienati, impostori e inetti a disagio nel proprio ruolo». La mostra è accompagnata da una pubblicazione che raccoglie un carteggio tra Serretta e il curatore Andrea Tinterri.l © RIPRODUZIONE RISERVATA