“La vita segreta delle città” rivelata da Murubutu tra rap e black music
Il nuovo concept album del rapper reggiano Alessio Mariani tra certezze e novità «Tendo verso una maggiore essenzialità»
Reggio Emilia Le città e chi le anima, dal vivo come nell’arte. È un tema fascinosissimo quello scelto da Murubutu, nome d’arte del rapper reggiano Alessio Mariani, per il suo nuovo album “La vita segreta delle città”. Uscito da poche settimane, il lavoro conferma Murubutu come autore di testi di grande spessore, sua grande forza dagli esordi e amplificata in questi anni in cui la sua popolarità è molto cresciuta, anche grazie all’insolito connubio che incarna, docente di scuole superiori e artista hip hop. Sempre più, rispetto al passato, il rap è ibridato con la black music, con il soul, in un percorso che ha visto Mariani lavorare sempre più spesso con una band, oltre che con produttori e dj, e affrontare pure rivisitazioni jazz del suo catalogo. La continuità è tematica. “La vita segreta delle città” ha un tema centrale attorno a cui si snoda l’intera sequenza, come in tutti i dischi precedenti.
Lo possiamo chiamare un concept album?
«Sì, per me i miei dischi sono concept album, nel senso che girano attorno tutti ad un concetto comune come denominatore».
È cambiato qualcosa, però?
«Diciamo che è il primo concept non naturale. Solitamente la base era un elemento naturale, la notte, la pioggia, il vento. Adesso tocca alla città, possiamo considerarla un elemento artificiale».
Questo modifica l’approccio?
«Le canzoni sono ambientate in contesti urbani, con narrazioni e contestualizzazioni "molto urbane" rispetto al passato più "bucolico", se vogliamo. E sono una fonte inesauribile di storie, come ricordava Italo Calvino».
Fonti di storie e di personaggi?
«Ci sono tanti approcci, ho cercato di esplorare diverse sfaccettature della vita urbana, tra cui la crescita delle megalopoli, il rapporto tra piccole e grandi città, lo spopolamento delle campagne e la fuga dei cervelli».
Parlava di elemento artificiale, ma la città diventa quasi un essere a sé stante, no?
«La città è un protagonista attivo, centrale, una sorta di “grande burattinaio” che influenza i destini dei suoi abitanti».
In che modo?
«È la città che dirige i destini delle persone facendole incontrare, non facendole incontrare, creando per la appunto delle relazioni come un grande burattinaio, diciamo. C'è un po' una visione da realismo magico in questo, nella città come organismo senziente».
Per raccontarlo, usa come sempre tante citazioni molto alte ed efficaci. Un lavoro non facile, giusto?
«L'album è ricco di riferimenti a diverse forme d'arte e pensiero, che hanno influenzato la concezione del tema urbano, dai registi come Coppola, Cronenberg e Wender, ma non solo. “Flaneur” è ispirato a Walter Benjamin, compare James Joyce, ci sono Calvino e Balzac, sottolineando un approccio multidisciplinare al tema».
Altra peculiarità, non manca la grande storia, con la “Caduta di Costantinopoli”. Viene da pensare alla “Bisanzio” di Guccini.
«Un po’ di Francesco Guccini è sempre dentro di me, nella mia scrittura, ed è un’influenza di cui sono felice. Ho anche potuto partecipare ad alcune iniziative, con lui. L’influenza di Guccini è chiara soprattutto nella volontà di personificare le città attraverso la narrazione, come lui ha fatto in tante canzoni, “Bologna, “Venezia”».
Maestri di scrittura. E lei, come sta evolvendo, nella sua scrittura?
«Penso di tendere verso “semplificazione” nella scrittura. Non intendo superficialità ma una maggiore essenzialità e una spinta verso la melodia, pur mantenendo la profondità dei concetti».
Profondità e capacità di far emergere fatti, storie, persone?
«Mantengo la mia caratteristica, quella del “rap Didattico”, in cui cerco di unire anche contenuti culturali e didattici».
Parlava della volontà di andare verso la melodia. Una spinta palese nelle musiche, sempre più ricche. Anche dal vivo sarà così?
«Sarò affiancato da una band fortissima, con i componenti del gruppo che hanno suonato con me nel tour jazz e un chitarrista, che permette di dare maggior versatilità».
Il disco è pieno di ospiti, e non è una novità. Le tante voci femminili sì. Un cambio di rotta?
«Ci sono molte voci melodiche femminili, è una scelta motivata dal desiderio di un album più colorato, meno cupo e con una forte componente melodica, influenzata dalla mia passione per il New Soul».
Manca il rap?
«A parte Alborosie e Davide Shorty, è presente un solo featuring rap, quello con Danno. Volevo cambiare rispetto al passato e sottolineare una direzione musicale più ibrida, contaminata con tanti generi legati alla musica nera». © RIPRODUZIONE RISERVATA