Gazzetta di Reggio

Giovedì 17 aprile

Eleonora Danco: «Con il mio n-Ego alla ricerca delle vite altrui»

Alberto Morsiani
Eleonora Danco: «Con il mio n-Ego alla ricerca delle vite altrui»

Scandiano: l’attrice e regista giovedì al cinema Boiardo con il suo film che è una performance stradale

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Scandiano Eleonora Danco, attrice, drammaturga, regista teatrale e cinematografica, al suo secondo film dopo “n-Capace” (2014), in “n-Ego” gira per le strade di Roma, di Terracina, di Sperlonga, incontra luoghi diversi in cerca di autenticità e personaggi che le raccontano la loro vita. Dal canto suo, lei si muove nel film travestita da manichino di De Chirico, il volto coperto da una calza e una cartuccera di sonniferi sul petto, e come Buster Keaton mantiene un rapporto quasi fanciullesco con la realtà. In bilico tra comicità e dramma, ogni incontro diventa riflesso di un tormento interiore. Il suo è un cinema umanista nel senso rigoroso del termine, un’esplorazione antropologica dell’anima dell’essere umano, attraverso un’estetica a tratti metafisica a tratti surrealista, in cui lo spettatore è invitato a guardarsi dentro e a riflettere sull’esistenza. Ma è anche un cinema divertente, a tratti comico, buffo, come è buffa la vita sulla terra. La regista presenterà il film giovedì sera (ore 21) al cinema Boiardo di Scandiano. È un evento organizzato all’interno del progetto Young Media Lab, vincitore del bando Collaborate to Innovate di Europa Cinemas. Abbiamo rivolto alcune domande alla Danco.


Qual è il significato del titolo, di quella enne?
«Da un lato laN è un no all’egocentrismo, la negazione del proprio ego di adulti, perché spesso noi neghiamo o tradiamo ciò che volevamo essere. Dall’altro la enne sta anche per infinito, infiniti ego, la possibilità e la capacità di vivere».
Il suo film è un viaggio attraverso tanti incontri con svariati personaggi. Come l’ha progettato e realizzato?
«È stato un lavoro di anni, preparato attraverso elaborati e interviste ad amici. È il secondo film di una trilogia, il primo fu “N-Capace”, dedicato ad adolescenti ed anziani, mentre questo tratta degli adulti. Per farlo mi sono appostata nei luoghi dove sapevo avrei poi girato, ai Parioli, a Trastevere, a Sperlonga e Terracina, in altre località di Roma e dintorni, luoghi che conosco benissimo. Aspettavo che passasse per strada qualcuno che mi colpisse a livello pittorico, i capelli di una signora, il sorriso di un agente… Fermavo quelli che mi interessavano e facevo dei provini. Era tutta gente sconosciuta per me, tranne pochissimi casi. Gente adulta, magari qualche ventenne ma già coi problemi dell’età adulta, il lavoro. A Trastevere mi ha colpito un giovane che usciva da una spaghetteria, sembrava un ritratto del Caravaggio. Ho poi scoperto che era una sorta di delinquente. È stato un lungo lavoro di selezione».

Nonostante l’andamento rapsodico alla fine il risultato è piuttosto coerente, strutturato…
«Sì, c’è una struttura molto sofisticata. Ho scritto una sceneggiatura piuttosto precisa, in fondo sono una drammaturga, senza naturalmente avere ancora i personaggi. È stato preziosissimo l’apporto del montatore, Marco Tecce, che è anche mio marito e che collabora con me da tempo. Ho cercato un impatto non mentale ma cinematografico. Ho fatto interviste dovunque, ho visto le vite degli altri che mi venivano letteralmente addosso».
Accanto ai personaggi raccolti per strada, nel film ci sono anche attori professionisti, Timi, Germano e altri.

«Elio Germano è un mio fan da tempo, mi segue sempre negli spettacoli teatrali, ama la mia drammaturgia, per lui è stato un piacere collaborare al film. Stesso discorso per Filippo Timi, che conoscevo meno, ma che si è messo a disposizione con molta generosità e tanto candore, seguendomi su tutto. Tanto materiale raccolto è rimasto fuori dal film, sto pensando di proporre 75 clip di extra veramente eccezionali».

Il suo è un cinema decisamente fuori dal coro, fuori dai circuiti commerciali. Le pesa questo fatto?
«Vivo questa condizione con molta serenità, mi piace lottare per le mie idee, portando avanti il mio lavoro. Certo l’Italia, Roma, sono il mio paese, la mia città, ma tutto qui è abbastanza complicato. La sensazione che l’Italia sia un paese rallentato. Però io cerco di fare un cinema popolare, compreso da tutti. Ai miei spettacoli teatrali del resto viene tanta gente. Di una cosa sono sicura: non ho nessuna voglia di lamentarmi. So che il mio film rischia di più, però dove l’ho presentato è piaciuto, come al Torino Film Festival e ora in questo tour di presentazioni. È un film che arriva di pancia. Anche i Velvet Underground, quando facevano le loro canzoni di pace o contro la guerra in Vietnam negli anni Sessanta all’inizio non venivano compresi, non hanno avuto nessun successo per anni. Poi sono diventati celebri. All’inizio erano troppo in controtendenza».

Parlava di un terzo capitolo…

«Sono indecisa sul da farsi. Ho fatto uno spettacolo teatrale che sembra già un film, con una recitazione molto tecnica, profonda, che lavoro sul subconscio degli attori, che alleggerisce fino a un aspetto onirico. Riguardo al completamento della trilogia, ho già un’idea molto forte»- © RIPRODUZIONE RISERVATA