Negrita «Noi, artisti a testa alta senza paura di andare controcorrente»
Stasera e domani live al Vox di Nonantola con «Canzoni per anni spietati»
«Quando c’è da raccontare qualcosa che sia controcorrente il vero artista lo fa e non si preoccupa delle conseguenze, del fatto che potrebbe esserci una fetta di pubblico che non è d’accordo con quello che dice».
Parola di Pau, al secolo Paolo Bruni, leader inossidabile e componente storico dei Negrita, con Enrico “Drigo” Salvi e Cesare “Mac” Petricich, la band di Arezzo tra le più longeve d’Italia nel vivaio del rock, che stasera e domani (data da tempo sold out) approda al Vox di Nonantola (a poche decine di chilometri da Reggio Emilia) con il “Negrita - Canzoni per anni spietati tour”, prodotto e organizzato da MC2Live.
Da Paradisi per illusi, il vostro secondo album, siamo arrivati a Canzoni per anni spietati, il vostro ultimo lavoro. Da quale energia scaturisce l’album e cosa si porta dentro della vostra storia?
«Dopo otto anni siamo usciti con un disco nuovo che ha registrato, anche a livello di critica, grandi risultati e questo è fonte di grandissime soddisfazioni. Che un gruppo di veterani come noi ultracinquantenni esca con l’undicesimo disco dopo sette anni non era assolutamente scontato. Siamo usciti con album pregno, per noi molto importante. Non è che succeda tutti i giorni, anche per i gruppi consolidati. Di solito, le band si esprimono al meglio nei primi anni».
L’impegno socio-politico continua a essere il filo conduttore.
«Noi abbiamo esordito in piena “Mani pulite” con “Cambio”, nel 1994. Ci siamo sempre occupati di politica applicata alla società, mai di partiti. Se l’artista è vero viene fuori nei momenti del bisogno, quando bisogna raccontare qualcosa controcorrente. Bisogna schierarsi, non nel senso di destra o sinistra, nord o sud, nel senso di scelta fra occidentali e arabi. Sono dicotomie che non concepiamo. In questi “anni spietati” qualcuno deve iniziare ad alzare la testa e denunciare quello che sta succedendo. Noi abbiamo deciso di farlo e siamo coscienti che non è qualcosa che paga, anzi, a volte ti mette anche a disagio».
Qual è il segreto della vostra longevità?
«Senz’altro la passione, senza quella non c’è niente. La passione determina la convinzione e il coraggio di esporsi, di non aver paura di modificare il proprio linguaggio e di affrontare la realtà della vita. Sono anche pittore e dj, vivo di musica e arte costantemente: in Italia è già un grande risultato, paradossalmente, visto che il nostro Paese ha il patrimonio artistico più vasto del mondo».
L’Emilia vi accoglie con un raddoppio di serate al Vox, di cui una da tempo sold out. Con i club un legame forte.
«Noi abbiamo suonato ovunque, dalle pizzerie agli stadi, e possiamo concludere che per il nostro genere musicale il club è la dimensione ideale. Altre location sono belle e le promozioni sono importanti, ma il rock and roll è nato nei club e qui esprime il massimo della potenza. Il Vox è uno dei club storici d’Italia, uno dei pochi di quel livello rimasti. Suonare lì è come tornare a casa. L’Emilia, poi, è una delle zone d’Italia più fertili in cui un certo tipo di musica è più di casa, come il rock. Ha prodotto così tanti artisti l’Emilia… La musica italiana, ma tinta di rock è nata qui se si pensa a Vasco, a Zucchero e al cantautorato eccelso da Lucio Dalla in poi. Anche l’ambiente rappresenta l’indotto frutto di questa cosa. Si è creato un pubblico rock, negli anni, che tuttora ha sete di questo tipo di musica e noi chiuderemo qui questa tranche di tour».
Ognuno di voi si è specializzato in forme artistiche differenti, tra cui la pittura, come accennavi. L’ispirazione per la musica arriva anche da questa contaminazione?
«Occhi e cervello sono gli stessi di quelli del musicista, certo che esistono punti di contatto. A livello pittorico non sono molto tranquillo, sperimento sempre, cambiando genere. La stessa cosa nella musica: i Negrita hanno attraversato generi dal funky blues, al reggae, al folk. Siamo curiosi a 360 gradi, sia che abbiamo in mano una chitarra o un pennello. Da ragazzino ho fatto le scuole di arte e durante il Covid per non morire d’inedia mi sono messo a dipingere. Ho poi iniziato a fare mostre, ne ho fatte dodici in quattro anni e mezzo, tra personali e collettive. Sono entrato in un giro pittorico di street e urban art che mi ha accettato e ospitato in tempistiche e ritmi che non sono quelli musicali».