Gazzetta di Reggio

Replay
La rubrica “Replay”

«Noi capostipiti della funkedelia»

Alice Benatti
«Noi capostipiti della funkedelia»

I Funk a Delhi sbarcano a Replay e si raccontano: «Sogniamo palchi militanti come Casa Cervi»

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Reggio Emilia «I Funk A Delhi sono i capostipiti di un nuovo genere (o forse di una nuova religione?): la funkedelia. Un mix musicale che sta tra il funk, rock, cantautorato, accompagnato da testi a metà tra l’impegnato e il demenziale». Si descrivono così i componenti della band reggiana, protagonista di questa puntata di Replay, nata nel 2015 con il nome “Bland” mutato in “Funk a Delhi” cinque anni dopo.

Perché un nuovo nome? «Perché ci andava. E lo abbiamo scelto facendo sfidare i nomi più improbabili a colpi di like in un torneo sui social, ma alla fine, presi dall’esasperazione, abbiamo lanciato un dado. Abbiamo seriamente rischiato di chiamarci “Dalai Lama in pigiama”, “Sumo passivo” e “I Vanzazzaroni”, ma purtroppo o per fortuna non è andata così».

Facciamo un passo indietro, voi chi siete? Presentatevi.

«Siamo Giovanni Mazzoli (voce e tastiere), Damiano Mammi (basso), Alessandro Manfredi (batteria), Giorgio Genta (chitarre) e Gabriele Genta (percussioni e qualunque altra cosa gli passi per le mani). Giovanni, Damiano e Alessandro si conoscono dai tempi del liceo classico e suonano insieme da più di 10 anni; hanno attraversato quattro formazioni che hanno portato agli odierni Funk A Delhi. Gabriele e Giorgio sono fratelli e portano un contributo di livello al gruppo: sono musicisti professionisti con all’attivo tour con band importanti come i Cccp».

Quanti pezzi vostri avete? «Una ventina, che suoniamo nei live. Ma per gli amanti delle piattaforme streaming, abbiamo pubblicato un album di quattro brani: “Nativity”. Il secondo, “Funkadelistan”, vuole essere un viaggio nel mondo della Funkadelia ed è in uscita un brano alla volta: su Spotify si possono già ascoltare i singoli “Hashtag la Victoria” e “Nilde”. Due parole merita il percorso con cui è stato concepito questo album.

Prego.

«La composizione delle canzoni si è svolta lungo tutto l’arco della pandemia e questo ha determinato in larga parte le tematiche trattate nei testi. Uno dei prossimi brani in arrivo è “Dpcm” e parla di “Dispositivi Per Combattere la Monotonia”. Come tutti i veri rocker, per registrare queste canzoni siamo volati fino a Birmingham, città celebre per i Black Sabbath e da oggi anche per i Funk A Delhi. Esiste, dobbiamo dirlo, un cd degli albori, che però rinneghiamo e che soltanto pochissimi fan della primissima ora possono dire di possedere».

Prima avete citato il brano “Nilde”. Nel 2020, nell’anno del centesimo anniversario della nascita di Nilde Iotti, lo avete dedicato a lei e a tutte le donne emiliane. Nel testo demolite diversi cliché sul genere femminile e il victim blaming di frasi come “E te la sei cercata te Se sei andata in giro vestita un po’ osé…”. Com’è nata l’idea? Messaggi che valgono doppio da una band maschile.

«L’idea è nata nel 2019, da un articolo del quotidiano “Libero” che descriveva Nilde Iotti come “grande in cucina e a letto, il massimo che in Emilia si chiede a una donna”. L’articolo era sessista e offensivo verso tutte le donne e anche verso la nostra regione. Damiano ha potuto sopportare tutto questo e ha abbozzato una strofa, la prima della canzone, alla quale ne sono seguite altre scritte insieme al resto della band. In realtà c’è stato anche lo zampino di una donna: Greta Rossi ha contribuito in larga parte alla scrittura del testo. La canzone omaggia la figura di Nilde Iotti, ma non parla tanto di lei quanto del sessismo che ancora oggi pervade i nostri discorsi e ragionamenti. La canzone si rivolge anche a “Francesco”, che rappresenta gli uomini, anche loro schiavi di uno stereotipo di genere che non permette loro di esprimere le proprie emozioni liberamente».

Com’è nato il vostro ultimo singolo “Hashtag La Victoria Siempre”? Avete qualcosa in uscita nei prossimi mesi?

«Molti dei nostri brani nascono da intuizioni linguistiche: giochi di parole che suggeriscono un titolo in base al quale si pensa al testo e al tono della canzone. La musica poi doveva richiamare il Sudamerica e per questo è ispirata al brano “La fiesta de San Benito” degli Inti Illimani. Il testo non poteva che parlare del regno degli hashtag, cioè i social, e del loro rapporto con la politica: tutto ruota intorno alla doppia accezione del termine “post-democrazia”, intesa come uno sviluppo successivo delle democrazie del ‘900, ma anche come “democrazia dei post”. Nei prossimi mesi sono in uscita gli ultimi due brani di “Funkadelistan”, cioè “Dpcm”, di cui abbiamo parlato sopra, e “Skaketti”, un inno ska alla nostra provincia e ad uno dei termini più astrusi e belli del nostro dialetto».