Beatrice Antolini alla Cavallerizza con “Iperborea”: «Non mi pongo alcun limite»
È pronta a raccontarsi sul palco la cantautrice e polistrumentista, protagonista stasera alle 21 di una delle tappe reggiane della rassegna “Il rumore del lutto”
Reggio Emilia Motivata, pure un po’ arrabbiata con un mondo musicale sofferente e silente. È pronta a raccontarsi sul palco Beatrice Antolini, protagonista stasera alle 21 al teatro Cavallerizza di una delle tappe reggiane della bella rassegna “Il rumore del lutto”, con base a Parma e ramificazioni in tanti luoghi. In città presenterà il suo ultimo lavoro solista, “Iperborea”, «il disco è uscito meno di un anno fa, lo sento ancora abbastanza fresco e allo stesso tempo sono contenta di aver affrontato determinati percorsi e di aver realizzato un album simile», racconta l’artista marchigiana, negli ultimi anni conosciuta per il lavoro come produttrice, come direttrice d’orchestra a Sanremo e come componente temporanea della band di Vasco Rossi per i tour concertistici. L’album per certi versi era un debutto, con tutti i testi in italiano. Soddisfatta? «In realtà avevo già pubblicato un pezzo nel 2022 in italiano, e poi mi sono trovata a cantare in italiano in tante situazioni. A questo aggiungo che crescendo si ha forse di più l'esigenza di comunicare, appunto. Io avevo anche il desiderio che qualcuno cantasse un mio brano ed è successo anche questo. A ogni modo, non mi pongo limiti assolutamente, né rimpiango di aver iniziato con l’inglese, sono contenta di quello che ho fatto». Rispetto a quegli esordi indie in inglese sono arrivati dischi, collaborazioni, i tour con Vasco, le direzioni dell’Orchestra di Sanremo per diversi concorrenti. Da un lato, è il grande salto; dall’altro, hai sentito di aver perso indipendenza rispetto ai lavori in proprio? «No, no, blocco tutto perché non sono d’accordo. Capisco che nella mente delle persone si possa creare confusione, ma la direzione musicale personale di un autore non c'entra niente con quello che fa per campare. Questo deve essere chiaro. In Italia non si può fare il cantautore puro e intonso, non ci si campa. Io, invece che andare a fare un altro lavoro, ho deciso di rispondere alle richieste che mi sono arrivate nel campo musicale, quindi è essenzialmente un lavoro e non c'entra niente, cioè non mi non contamina e non tocca il mio progetto». Nemmeno la forza mediatica di Sanremo. «Sanremo è durato due settimane e cosa ho fatto? Qualcosa che non è neanche il mio mestiere, quindi sostanzialmente per me è stato un attimo della mia vita, mentre i dischi sono figli di quello che ho costruito in vent'anni di lavoro, di fatto solitario, autonomo e a mie spese». Le idee al riguardo sono molto chiare. «Queste cose non le dice mai nessuno, mi piacerebbe che ogni tante le tirassero fuori anche i miei colleghi», sorride. Lei lo fa e allo stesso tempro produce anche lavori di spessore e complessità come “Iperborea”. Un disco simile, come lo si rende dal vivo? «Ho cercato di renderlo abbastanza simile. Chiaramente il live è sempre un’esperienza diretta, sia per chi ascolta che per chi suona e interpreta, ma deve essere al tempo stesso un’esperienza diversa secondo me. Però ho cercato comunque di dare una direzione artistica anche alla versione dal vivo: suoneremo tutto il disco, proprio così com’è, dal primo all’ultimo brano tutto di seguito perché diciamo che è un concept, quindi ha un senso anche farlo tutto di seguito, dopodiché faccio un salto nel passato con altri mie brani». l © RIPRODUZIONE RISERVATA
