Francesco Grande Aracri «un’ndranghetista moderno che strumentalizzò i sindaci»
Lo dicono le motivazioni della sentenza di Appello dell’inchiesta Grimilde
Brescello «Un ’ndranghetista moderno» dalla «strategia di basso profilo», che «ha strumentalizzato i buoni rapporti con l’amministrazione brescellese, in particolare nelle persone dei Coffrini padre e figlio che si sono succeduti nella carica di sindaco, per ottenere l’aggiudicazione alla Eurogrande Costruzioni srl di alcuni appalti senza procedura di evidenza pubblica». Questo – e molto altro – è Francesco Grande Aracri detto Franco, fratello maggiore del boss Nicolino, nelle motivazioni della sentenza di Grimilde della Corte d’Appello di Bologna che nel luglio scorso ha aumentato la pena in 24 anni (anziché i 19 anni e mezzo del primo grado). Ci sono anche riferimenti a Ermes e Marcello Coffrini nelle conclusioni della Quarta Sezione Penale, presidente Luisa Raimondi.
Marrcello «da sempre vicino ai Grande Aracri, insieme al padre Ermes che ne era stato anche il legale (emblematica di tale vicinanza la realizzazione, attraverso una variante edilizia, del quartiere Cutriello, fusione tra Cutro e Brescello)». Ricordiamo che Marcello Coffrini ha annunciato di voler dire la sua verità nel processo in corso davanti al gup di Bologna per concorso esterno in associazione mafiosa, insieme all’altro ex sindaco Giuseppe Vezzani e altri dieci persone. Tornando a Francesco, già in Edilpiovra secondo i giudici è stato accertato «il ruolo apicale», «teso a operare nel Reggiano con modalità più morbide, sofisticate e insidiose rispetto alle tradizionali estorsioni per ottenere il pagamento del “pizzo” sotto forma di versamento dell’Iva». Affari è la parola d’ordine degli ’ndranghetisti emiliani, come riconosciuto nel maxiprocesso Aemilia. «La prevalente attività era finalizzata a infiltrarsi nelle attività economiche assumendone il controllo a scapito dell’imprenditoria locale, grazie all’impiego di risorse finanziarie provenienti dai profitti dei delitti posti in essere dalla cosca, in primis la lucrosa e ingente attività di falsa fatturazione che comportava, oltre all’evasione delle imposte, anche il successivo fallimento delle società cartiere con conseguente inquinamento delle attività economiche e finanziarie connesse». Il tutto dietro a un’apparenza lecita. «I documenti (autorizzativi, catastali, notarili, contrattuali, contabili ecc) depositati» dalla difesa di Francesco Grande Aracri «dimostrano unicamente la regolarità formale, che non smentisce affatto la sostanza del quadro probatorio» costruito dal pm Beatrice Ronchi «a riprova della scaltrezza dell’imputato, attento a giustificare formalmente il proprio operato». Un boss di basso profilo, «aduso a non esporsi», «particolarmente cauto e prudente nelle frequentazioni e nei colloqui telefonici, attento a non sovraesporsi troppo»: vuole rimanere nascosto e manda avanti i figli, ma «dal 2004 in poi nulla è cambiato». l © RIPRODUZIONE RISERVATA